Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Noterelle

AMARO CONSIGLIO COMUNALE

EMILIO CORBETTA - 09/01/2015

banchiDell’amaro che si mastica in consiglio comunale.

Non vi partecipi per il gettone di presenza, considerabile un semplice rimborso spese e non capace di remunerare le fatiche che ci spendi. Ci vai per passione, perché pensi di amare la tua città; perché vuoi servirla e non per un ritorno personale, come ad esempio la carriera politica.

Obiezione: qualcuno potrebbe far notare che alcuni consiglieri sembrano desiderosi di ritorni personali, di una carriera politica propria … Illusione? Forse, ma se nell’intimo di un consigliere c’è questa motivazione, la sua azione politica non è più pulita: compare il conflitto d’interessi, subdola piaga inquinante della politica. Carriera politica … cosa vuol dire? Chi è il politico? Perché al posto del politico non può esserci un esperto, un tecnico? E se non c’è onestà d’intenti, chi è più dannoso? E se c’è invece onestà, chi è più utile? Il politico o il tecnico? Il tecnico può cadere nell’errore di far prevalere il tecnicismo a danno del bene delle persone, ma anche il politico può creare un danno se travalica certi parametri, certi limiti economici, certi limiti legali o altro.

Ulteriore elemento d’amarezza: perché un consesso di persone, pur con pensieri diversi, ma tutte con l’intento di amministrare una città, funzioni, è necessaria la presenza della reciproca fiducia nei rapporti tra i protagonisti. Ebbene questo manca, anzi: si è convinti che la politica si facci eludendo la fiducia. Dare fiducia in politica è un’ingenuità. Abilità vera è saper fingere dare fiducia, ma di fatto cancellarla.

Per far bene la politica bisogna dunque essere in malafede? Sembrerebbe di sì. È convinzione diffusa che la politica in quanto tale è sempre sporca. Ma questo concetto gli addetti non lo ammettono, non lo proclamano. Anzi, dicono il contrario e da più voci, talvolta in modo aggressivo e offensivo, si accusa la controparte di voler imbrogliare, di mescolare subdolamente le carte.

Poi al momento delle decisioni finali, dopo dibattito, si deve votare. Ma i numeri sono sempre quelli, per cui la maggioranza ha sempre ragione. L’opposizione ha sempre torto! Inutile dire: l’opposizione è stata debole, ma pure fasullo dire che la maggioranza è forte. Per come stanno le cose è solo un problema di numeri. Con quest’ottica il potere della maggioranza diventa una dittatura velata: lei ha sempre ragione appunto per il gioco dei numeri.

Questo è il metodo attuale con cui funziona un’assemblea e non può che essere così per l’operare dei partiti, croce e delizia della politica odierna, dove concetti diversi convivono,ma non dialogano, anzi si scontrano.

Chiamiamo quanto sopra il “gioco delle parti” (definizione poco originale, ma espressiva) che richiederebbe d’essere superata. Necessita una vera rivoluzione che potrebbe avvenire se si mutasse la metodica di lavoro, confrontando le opinioni in base al loro reale valore e non in base alla parcellazione imposta dai partiti che, anche se in maggioranza, sono sempre solo una parte. La democrazia non dovrebbe essere un confronto di partiti, ma un confronto di pensieri. Attenzione! Un confronto di pensieri, di progetti politici o anche economici, amministrativi, non di ideologie.

Quale il “coefficiente”, la “caratteristica” che rende un concetto più valido rispetto a quello sostenuto da un altro? Non facile definirlo, ma la presenza della fiducia reciproca e onestà d’intenti potrebbe condurre verso la soluzione del problema. Al momento delle decisioni poi dovrebbe prevalere sempre la coscienza dei singoli e non la logica delle parti, senza che questo comporti la rottura di una compagine, sia maggioranza o minoranza. La coscienza di volere il bene della comunità sopra quello di una parte. Utopia? Forse…!

Ma allora perché spendersi sacrificando tempi e fatiche in un ambiente reso amaro da questi fattori? Perché si ama la propria comunità, perché non tutti gli appassionati che ci “danno dentro” sono in malafede, perché si spera di cambiare, si spera che si riaccenda la volontà, gli intenti, di quando si uscì dai drammi e dalle miserie provocate dalle grandi disgrazie del passato, quando ci si rendeva conto di essere in basso ed era giocoforza risalire. Il dramma è che ora tanti si credono ancora in alto, quando invece si è quasi in un baratro

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login