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Società

GLI ERRORI DEL PAESE CHE NON SA EMENDARSI

CESARE CHIERICATI - 14/01/2012

Inizio anni Sessanta. Italo Pietra, partigiano e grande conoscitore del Paese, è il direttore del Giorno, il quotidiano dell’Eni che, con la sua presenza innovativa a tutti i livelli, determina un cambiamento epocale nella stampa italiana. Chiede a Giorgio Bocca e ad altri non meno capaci colleghi (Vittorio Emiliani, Guido Nozzoli, Manlio Mariani e più tardi lo stesso Giampaolo Pansa) di raccontare la nuova Italia nascente del boom economico, quella che vede il mondo contadino in disfacimento, travolto e in molti casi ucciso per sempre dall’industria avanzante. Giorgio Bocca fu l’apripista di quella felice stagione giornalistica e ricordava nel Provinciale, il suo libro più bello: << [Pietra] mi mandò nella Lombardia dei treni operai a Palazzolo sull’Oglio in un alberghetto gelido, sveglia alle quattro…. I primi a muoversi erano stati quelli delle alte valli bergamasche, Brembana e Seriana, ora con noi si muoveva tutta la cerchia lombarda da Cremona a Voghera, a Mortara, Varese… Due ore per andare, due per tornare, la sosta di mezzogiorno, i percorsi in città. Tira le somme e sono quattordici ore al giorno, una settimana lavorativa di novanta ore come i tessitori del 1800…Arrivavamo a Lambrate alle sette e quaranta, con i soliti venti minuti di ritardo e una moltitudine di forsennati si lanciava giù dal treno ancora in moto, creava mischie furibonde all’imbocco dei sottopassaggi e il controllore, a me rimasto seduto a guardare, diceva :” Gli hanno pagato la mezz’ora anche oggi” per dire che gli avrebbero tagliato la paga per il ritardo >>. Una constatazione – premonizione perché, sia pure al netto di qualche miglioria tecnologica, le condizioni dei pendolari lombardi in mezzo secolo non sono cambiate di molto checché ne dicano l’assessore Cattaneo e i burocrati di Trenitalia e Trenord. Fu la scoperta rivelatrice di un’Italia che la stampa nazionale continuava a ignorare e quella di provincia pure, imbozzolata com’era dentro l’ossequio silente ai poteri forti locali sia di centro (DC e storici alleati) sia della sinistra a trazione comunista. Infatti nella rossa Carpi, eden della maglieria, dove il piccolo fabbricante passava in pochi anni dal motorino alla Lamborghini, Bocca non mancò di rilevare che il partito << era il carrozzone su cui erano saltati tutti, contadini e operai, turatiani e bordighiani, fascisti e partigiani, impresari edili e impiegati del Comune d’accordo con gli impresari per fargli avere la licenza e per negarla a quelli delle altre parrocchie, rimasti in pochi>>. Non che Bocca non apprezzasse il positivo presente in quella crescita selvaggia e vagamente anarcoide, al contrario semplicemente ne vedeva i limiti, la rapacità e misurava con occhio vigile e critico l’incapacità delle  istituzioni post fasciste – in verità mai rinnovate a fondo – a controllare e incanalare il turbo capitalismo nazionale che altri più addomesticabili colleghi invece santificavano. Quel suo straordinario e – per il giornalismo italiano dell’epoca – sorprendente viaggio è raccolto in un libro  “La scoperta dell’Italia”, pubblicato da Laterza nel ’64. In meno di cinquecento pagine sono fissati i pregi e i difetti della nascente crescita di un Paese che per molti versi ha continuato a svilupparsi con gli stessi errori senza mai trovare veramente la forza morale e politica di correggerli. Emblematico l’esempio di Rapallo dove il cronista approda in piena estate e racconta lo sconcio urbanistico che ne comprometterà per sempre  l’armonia ottocentesca. La speculazione racchiusa in un neologismo, “zonizzare” che – scriveva Bocca – vuol dire spartirsi le colline: << tot metri quadri per ogni casa e poi fra bustarelle e sbancamenti del terreno tutti fanno e faranno il comodo loro, cioè lo scomodo di tutti: case di cinque piani a tre o quattro metri l’una dall’altra; fragili, scadenti, piastrellate, pretenziose, ridicole; l’ultima casa che toglie il sole alle precedenti secondo un inganno che si rinnova. E demolizioni, distruzioni, brutture >>. Uno sconsiderato assalto al paesaggio e  alle città che a mezzo secolo di distanza non si è ancora fermato.

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