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Società

MATTARELLA/6 ECHI DI GIOVENTÙ

FELICE MAGNANI - 06/02/2015

degasperiDemocrazia Cristiana, sussulto di ricordi: idee, volti, speranze, impegno, determinazione, certezze, illusioni, profonde tristezze. Quanta euforia e quanta rabbia per quella bandiera con la croce sventolata nelle vie e nelle piazze come un vessillo di rinascita popolare. L’elezione a presidente della Repubblica di Sergio Mattarella è un tuffo nel passato, come se quel passato fosse ancora vivo lì dietro l’angolo a dimostrare che nella vita degli uomini e in quella dei partiti c’è sempre stato un po’ di tutto: onestà, disonestà, legalità, illegalità, lealtà e slealtà, il bene e il male, il presente e il futuro. In alcuni momenti è stato facile fare di tutta un’erba un fascio, gettare ombra su chi aveva costruito la storia del nostro paese, screditare anni di responsabilità di persone che amavano d’impeto i valori di una politica cristiana respirata nei campetti degli oratori e nelle parole di qualche sacerdote.

Quante speranze nel cuore di giovani cresciuti con l’idea di un servizio bello e pulito, in qualche caso allenati nelle file di una san Vincenzo che serviva i poveri di una parrocchia in angoli reietti di una città non ancora globale. Com’era bello credere nei valori della famiglia, nelle parole di educatori cresciuti tra spasmi di guerre e conflitti, volenterosi di testimonianze da distribuire a gente in cerca di speranza. Nei cuori c’erano sussulti di fede, fiducia nel genere umano, voglia di dimostrare che nel servizio per l’altro si esprimeva il valore morale di un’ideologia coniata da chi credeva nella natura umana, nella sua capacità di creare una dimensione accettabile della vita, dove ci fosse posto per tutti, in particolare per i senza voce.

Anch’io cercavo di capire come fosse possibile amare così tanto un’idea al punto di accettarla, viverla, leggerla e studiarla tra le pagine di libri e giornali, con la gioia di chi comprende che forse tra quelle pagine ci poteva essere un futuro di speranza per tutti. Non c’era una gran differenza tra le parole del vecchio sacerdote del catechismo e quelle studiate di eleganti professionisti in giacca e cravatta. Sembrava tutto così giusto, così perfetto, così coerente, nessuno avrebbe potuto distruggere quella vocazione politica a fare bene, a lottare per principi e valori che avrebbero potuto cambiare la faccia di un mondo abbruttito dalla malvagità della guerra e dalla protervia di gente intrisa di odi e rancori gettati sul campo per dimostrare che il male è più forte del bene.

Noi ragazzi abbiamo creduto nella bellezza di quei valori, li abbiamo condivisi e promossi con i nostri giovanili idealismi, con quella immediatezza che solo i giovani hanno, quando sono convinti che il bene sia la carta vincente. Ciascuno con le proprie capacità, con i propri talenti e le proprie risorse, ha contribuito a rappresentare un’immagine di onestà, di altruismo, di condivisione d’intenti anche quando quel mondo che ci stava attorno non era sempre quello che avremmo voluto, in particolare quando ignorava il nostro impegno scevro da varie forme di arrivismo, da intrighi e meschinità.

Eravamo ben diversi da chi scambiava la Democrazia Cristiana per luogo di convenienza personale, dove sarebbe stato possibile agire indisturbati concentrando la trasparente filosofia della vita su aspetti deteriori come il successo, la carriera, i soldi, il potere e tutto ciò che negava la forza e la bellezza di grandi valori che bravi maestri di vita ci avevano insegnato. Con Mattarella si rifà vivo quello spirito buono, affiorano anni di grandi idealità, di confronti, di valori comuni, di euforie condivise, di speranze, la forza di una nazione coesa, capace di dominare le diversità, di stabilire confronti e di essere testimone. Era un’Italia con le sue difficoltà, le sue incertezze, ma attenta a custodire il valore di una “sintassi” precisa, costruita nei laboratori educativi degli oratori, delle famiglie, delle scuole, della società civile e dello Stato.

Erano gli anni di un attivismo politico impregnato di cultura, di conoscenza, di voglia di migliorarsi, di accendere la luce su una identità nuova, libera, capace di definire il proprio livello di responsabilità individuale e collettiva.

La DC non era semplicemente il partito dell’impegno concreto nella società, era il simbolo di una cultura che affondava le sue radici nella filosofia evangelica della vita, nell’immagine di testimoni autentici. Non c’era quel grande distacco tra vita parrocchiale e vita democristiana, spesso i sacerdoti stavano dalla nostra parte, convinti che la storia avesse riservato un ruolo importante a don Sturzo e ai suoi discendenti. In molti casi ci aiutavano nella diffusione dei valori, mettevano a disposizione le loro sale, sapevano che il nostro linguaggio non era molto diverso da quello onesto e sincero delle omelie domenicali.

Poi il tempo è passato e ci siamo resi conto che non tutto era come avevamo pensato. Qualcosa non aveva funzionato per il verso giusto. Qualcosa che avevamo creduto immutabile stava cambiando. Gli uomini non erano più quelli della filosofia evangelica, alcuni avevano sposato la furbizia umana. Con Mattarella ci sentiamo di nuovo rappresentati. Il buono della storia si rifà vivo proprio quando la storia stessa ha bisogno dell’aiuto dei suoi figli migliori, di quelli che conoscono fino in fondo il valore della Costituzione italiana, della giustizia, della legalità, della fede nello spirito di servizio che ha formato l’impegno dei nostri padri costituenti. È con il nuovo presidente della repubblica che la storia rende giustizia e impone una riflessione seria e onesta sull’importanza di essere in prima linea nella risurrezione del nostro paese.

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