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Cultura

RICORDO DI ARTURO MASSOLO

ROMOLO VITELLI - 14/01/2012

Tanti, tanti anni fa, praticamente ieri, ero un giovane studente dell’Università di Urbino. Non sempre noi giovani, che venivamo da fuori, seguivamo con regolarità le lezioni: vuoi per mancanza di soldi, vuoi perché ve ne erano alcune veramente così noiose e con tematiche così lontane dalla sensibilità di un giovane degli anni ‘50, che penso non interessassero nemmeno ai professori che le ammannivano. Così, dopo aver dato una mancia ai bidelli e consegnato loro i libretti universitari da far firmare ai professori, ce ne andavamo a piazzare le nostre sgangherate tende a Rimini, Cattolica o Riccione, dove a maggio e giugno le spiagge pullulavano di ragazze tedesche e del nord Europa.
Poi con i libretti firmati, tornavamo a fare gli esami nella sessione estiva. Accadeva però a volte che si saltassero delle lezioni veramente interessanti fatte da professori che noi, “giovani ignari di noi e del mondo,” allora non sapevamo essere delle belle teste e degli autentici Maestri. Ma questo lo capimmo più tardi e a nostre spese. Alcuni di questi professori, stanchi di fare lezione a “quattro gatti” e di continuare a firmare libretti ai bidelli, decisero di darci un taglio. Così una volta, mentre ci apprestavamo a disertare un corso che a detta di un mio amico: “non si capiva una parola di quello che diceva il professore”, ci venne comunicato, con nostro disappunto, che il prof di storia e filosofia, avrebbe firmato i libretti solo agli studenti presenti alle sue lezioni. Grande fu la nostra costernazione nell’apprendere la notizia perché ci rendemmo subito conto che quell’anno sarebbero saltate le vacanze con le “nordiche”. Arturo Massolo, così si chiamava il professore in questione, a noi studenti dei primi anni, sembrava un tipo un po’ bizzarro e secondo un mio amico del terzo anno, che diceva di conoscerlo, si trattava di “uno che a lezione parlava sempre dei suoi gatti, di poesia e arte!”
Capii poi, più in là, che quel tipo “bizzarro” era in realtà una figura di spicco nel panorama filosofico degli anni del secondo dopoguerra, e un grande cultore del pensiero hegeliano e dell’idealismo tedesco, ai quali dedicò la maggior parte della sua produzione filosofica. Ma era, anche prima di essere un filosofo, un artista e, infatti, la sua prima opera è una raccolta di versi (Mattutino). Nella prima lezione eravamo stipati in oltre mille in una grande aula che però a mala pena ne avrebbe potuto accogliere cinquecento/seicento.
Lo vidi per la prima volta: e mi apparve imponente seduto dietro la sua cattedra; la sua figura carismatica e maestosa emanava autorevolezza e spessore culturale e noi ci sentivamo un po’ tutti intimiditi dalla sua persona.
Cominciò la sua lezione con il viso reclinato e assorto, senza guardarci in faccia, con una voce roca e cavernosa, che sembrava uscire dall’oltretomba. Esordì, imbastendo un discorso che a noi allora sembrava intriso di grandi verità…
Non sono in grado di ricordare per filo e per segno, a distanza di tanto tempo, tutti gli autori e i vari concetti espressi; ricordo però che nominò più volte “La fenomenologia dello Spirito” di Hegel. Noi tutti, pigiati uno sull’altro, avevamo un atteggiamento sussiegoso e attento: tipico di chi voleva dare a intendere di essere voglioso di attingere allo sconfinato sapere filosofico del professore; e chi ci riusciva tra noi cercava pure di prendere faticosamente anche qualche appunto, pensando che potesse tornare utile il giorno degli esami.
A un certo punto il professor Massolo sollevò la testa, la voce s’interruppe bruscamente e nell’aula calò un silenzio gravido d’attesa che durò alcuni interminabili secondi. Con un pugno ben assestato sulla cattedra richiamò ancora di più verso di sé la nostra attenzione e poi proruppe in una risata sarcastica e fragorosa, che gelò tutti noi, ma che smorzò subito dicendo: “Ma pensate un po’, guardateli qua tutti attenti e partecipi, questi studenti del mio corso, ho detto in un quarto d’ora un cumulo di sciocchezze, fesserie e mostruosità da far rivoltare nella tomba i filosofi che a sproposito ho nominato e nessuno di voi ha detto nulla, né ha fatto un cenno di dissenso.” In effetti personalmente ero un po’ disorientato e confuso, ma onestamente debbo dire di non avere compreso nulla, tanto nuovi e strani mi sembravano alcuni di quei nomi e soprattutto di quei concetti. Forse, ripensandoci ora bene, avrò pensato allora che il professore stesse rivisitando le tematiche alla luce dei nuovi sviluppi della ricerca filosofica.
Solo poi, in un secondo tempo, compresi che ci aveva ammannito, per richiamarci ai nostri doveri di studenti responsabili, una sonora e sferzante lezione di vita utilizzando una specie di “polpetta filosofica avvelenata”, sapientemente confezionata e amalgamata. Aveva combinato in un modo più raffinato, sofisticato e filosoficamente congegnato, di quanto io ricordi e faccia in questo momento, una sequela di autori, e strani concetti, chiamiamoli così “filosofici, che presso a poco potevano suonare così: “La fenomenologia dello Spirito” hegeliana che in opposizione alla dialettica dei distinti di Schopenhauer si interseca con la teoria degli opposti parmenidei, trova la sua più autentica verità nella “teoria della relatività” di Einstein, per cui si può certamente concludere che sono maturi i tempi per fare i conti, come dice Hegel, con “ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia crociana,” e dire finalmente con Nietzsche: “finora i filosofi si sono limitati a comprendere il mondo, ma si tratta di cambiarlo; ed è questo il compito della filosofia che com’è noto “è quella scienza che, con la quale o senza la quale, tutto resta tale e quale”…; e via di seguito per una quindicina di minuti. E poi aggiunse: “Fesserie del genere e avrebbero dovuto indurvi a dire: “Ma che sta dicendo quel vecchio rimbambito, che castroneria filosofiche ci sta ammannendo, è diventato forse pazzo? Invece avete pure preso appunti, povero me !”
Oggi, dopo tanti anni d’insegnamento di storia della filosofia, mi viene da sorridere, nel vedere, come ci aveva preso bene per i fondelli! E pensare che a me, quelli snocciolati in quel lasso di tempo dal professore, pur lasciandomi un po’ perplesso, come ho detto, mi erano apparsi concetti profondi, originali, importantissimi e densi di spessore filosofico; l’unico mio rammarico era stato quello di non essere riuscito a prendere appunti… (sic!) E proseguì: “ Ma che volete sapere voi della Fenomenologia dello Spirito; che volete capire voi della filosofia hegeliana, quando gran parte di voi non è mai stata presente alle lezioni e in tutta questa sessione ho parlato quasi soltanto ai miei nove gatti! E pensare che oggi centodieci scuole medie in Italia sono dirette da studenti del primo o secondo anno d’università, come voi e del vostro livello culturale! Visti chi sono i presidi di queste scuole, io non chiedo a questo punto chi sono i professori, no, no, figuriamoci i bidelli!”
Però poi da grande, onesto e magnanimo Maestro aggiunse: “Io non me la prendo con voi, siete giovani e purtroppo non consapevoli e le ragazze tedesche o svedesi sulle spiagge di Cattolica saranno certamente più attraenti delle mie lezioni di filosofia. Del resto non ignoro anche le difficoltà economiche nelle quali molte delle vostre famiglie si dibattono e quanto sia difficile per loro far studiare fuori casa i propri figli, dovendo pagare le rette universitarie, il vitto, l’alloggio! Io me la prendo con il Governo che lascia la scuola e l’Università in questo stato disastroso, che non spende nulla per gli alloggi e le mense studentesche, la ricerca scientifica ecc. e mortifica il nostro Paese e il futuro delle sue generazioni.” E poi cominciò a parlare seriamente della Fenomenologia dello Spirito di Hegel e penso di avere iniziato a capirci qualcosa, ma a tutto oggi, dopo averla spiegata tante volte ai miei innumerevoli allievi, non ne sono affatto sicuro, vista la complessità della famosa opera hegeliana.
Questa per me è stata una delle più belle, se non la più bella, la più profonda e vera lezione di scuola e di vita in assoluto, che ho ricevuto dall’Università di Urbino e che solo i grandi Maestri sanno impartire. Qualche anno dopo gli chiesi un colloquio perché volevo laurearmi con lui, ma mi disse che forse sarebbe stato meglio che mi mettessi d’accordo con il suo assistente. Infatti di lì a poco lasciò l’Università di Urbino per occupare la cattedra del maestro Allmayer alla Normale di Pisa dove, dopo alcuni anni, si spense prematuramente.
L’università di Urbino, con il suo trasferimento e la sua morte, perse uno dei suoi Maestri migliori e noi studenti, uno che ci era, a modo suo, molto vicino. Certo erano quelli i tempi di grandi Maestri a Urbino, e Massolo faceva parte di quei grandi pensatori che hanno dato lustro all’Università tra i quali voglio ricordare: Carlo Bo, Sammartano, Enzo Santarelli, Livio Sichirollo, Pasquale Salvucci, Valli, Leone Traverso, Scevola Mariotti, Claudio Varese, per fare soltanto qualche nome.
Ricordo tutti questi grandi professori della mia Università, ma quello che ha lasciato in me un segno e un ricordo indelebili, è stato Certamente il professor Arturo Massolo, Maestro nel duplice significato del termine: grande studioso e professore universitario e grande appassionato didatta.
Dopo aver sostenuto tutti gli esami, noi laureandi, dovevamo come tutti, sostenere un’ultima prova scritta. Il giorno dell’esame ci dettarono il testo del tema: “Dica il laureando se nel corso dei suoi studi universitari vi sia stato un aneddoto, una lezione o un avvenimento che l’abbia particolarmente colpito”; e io naturalmente raccontai l’aneddoto della lezione sui generis del professor Massolo. Mi laureai con 110 e lode con colui che era stato il suo assistente, il professor Pasquale Salvucci, filosofo di grande rilievo nell’ambito del pensiero contemporaneo, interprete originale e acuto di Kant e dell’Idealismo tedesco che poi divenne, da professore Ordinario di Storia e filosofia, anche Preside della stessa Facoltà.
Un conterraneo abruzzese di cui conservo un caro, affettuoso ricordo della sua umanità e delle tante discussioni politiche sotto i portici in quelle belle serate autunnali dell’ Urbino ventoso.

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