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In Confidenza

GIOCO DI SQUADRA

Don ERMINIO VILLA - 13/02/2015

paraliticoL’enciclica “Lumen fidei”, scritta a quattro mani dai papi Francesco e Benedetto XVI, fa riferimento alla vicenda del paralitico di Cafarnao per delineare anche visivamente quella “forma ecclesiale della fede” che l’appartenenza al Signore Risorto suscita, alimenta e rende capace di guarire anime e corpi.

Nella stanza scoperchiata di una casa dove si era radunata molta gente con Gesù entrano, a sorpresa, quattro personaggi fermamente decisi a far incrociare – in un modo o nell’altro – lo sguardo stanco e rassegnato di un malato cronico con quello, nuovo e sorprendente, del rabbì di Nazaret.

Si sente che c’è amore e trepidazione intorno a quell’uomo, costretto chissà da quanto a giacere sulla propria barella; si percepisce un volere comunitario di superamento del suo male mediante una fede che – cito ancora la “Lumen fidei” – “si confessa dall’interno del corpo di Cristo, come comunione concreta dei credenti”.

È lo spettacolo che noto anch’io osservando quanta gente – come comunità di credenti (singoli o famiglie, parrocchie e associazioni…) – entra qui, in questa “casa di Maria”, per rivolgere a lei, madre di Gesù e madre nostra, suppliche accorate e compiere gesti penitenziali.

Mi sembra un bel distintivo della nostra fede questo sentirci tutti responsabili di tutti, “portando gli uni i pesi degli altri” (Gal 6,2), in una interdipendenza tale per cui il peccato e il male di uno influiscono sugli altri.

Il paralizzato assomiglia al marinaio che ha perso il controllo della sua nave, perché – così commentava sant’Antonio – “impigrisce nei flutti dei pensieri, nell’amarezza dei peccati, ed è come un timoniere immerso nel sonno che ha abbandonato il timone, cioè la guida della ragione, e porta la barca della sua vita verso il Cariddi della morte eterna”.

Di fronte alle tante “paralisi” dell’umanità, la Chiesa deve avere uno sguardo compassionevole, autorevole e mai autoritario, cioè quello di Cristo che rilancia ad oltranza l’offerta di salvezza su ogni cronicità cattiva: una Chiesa che sia, come Gesù, “fuori di sé” (Mc 3,21), nel senso di missionaria solo per amore, decisa ad incontrare malati e peccatori dovunque siano.

L’ignavia dei “paralitici” e il poco coraggio della comunità cristiana spesso, purtroppo, permettono il ristagno del male. Questo non ci deve lasciare tranquilli. Che fare, allora? La soluzione indicata dal Vangelo è il “gioco di squadra” o – con un linguaggio più ecclesiale – lo “stile sinodale”, camminare insieme, unire gli sforzi… L’umiltà, la povertà, la pazienza e l’obbedienza, raffigurate in quei quattro portatori, sono le quattro virtù che portano a Gesù l’anima che giace nella miseria.

È possibile anche oggi farsi carico di tanti “paralizzati nello spirito” e portarli da Gesù? Sì, per questo preghiamo il Signore, perché ci faccia risorgere dal peccato, prendere il letto della nostra carne e ritornare alla casa della beatitudine celeste.

L’accumulazione che non conosce la logica del dono, accresce sempre la dipendenza dalle cose e separa l’uomo dall’uomo, l’uno dagli altri. Non c’è vera gioia senza gli altri, come non c’è speranza se non sperando insieme. Ma la speranza è frutto del donare, della condivisione, della solidarietà” (Enzo Bianchi).

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