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Attualità

LA CITTÀ IN UN GIARDINO

DANIELE ZANZI - 19/02/2015

Il parco di Villa Toeplitz

Il parco di Villa Toeplitz

Come tanti varesini ho un sogno nel cuore che dura da decenni e che di anno in anno si fa sempre più pressante e incombente perché vedo invece la mia città intristirsi e sprofondare nell’anonimato e nella mediocrità.

Il mio sogno non deriva certo dalla sindrome del torcicollo e della nostalgia dei bei tempi andati che si dice affliggano le persone di una certa età. Ho anche scritto un libro su questa città verde che c’era e non c’è più e che invece dovremmo far ritornare. La mitica Città Giardino. La città che una rivista tedesca in voga nei primi anni del ‘900 propagandava ai potenziali turisti d’oltralpe “come seconda in Italia solo a Sanremo quanto a bellezze ambientali e del territorio”. Varese era la Versailles d’Italia, la città dei Grand Hotels, delle ville liberty, dei parchi e dei giardini, delle funicolari e del Kursaal, dei tram elettrici e dei collegamenti rapidi ferroviari con Milano e con gli altri laghi prealpini. Una città viva e vitale, ricca di iniziative e di uomini propositivi – i Bagaini, i Limido, i Garoni, i Girardi… – diversi per appartenenze e pensieri, ma accumunati nel volare alto sui destini della città tanto amata.

Una città orgogliosa non solo a parole della sua nomea di “giardino”, ma capace di sfruttare e ampliare il termine con iniziative originali e corpose. A Varese nacque la prima società italiana di amanti di piante e orti, la gloriosa Orticola Varesina; qui venne alla luce, nel 1901, la prima rivista nazionale di giardinaggio che raggiunse tirature da capogiro e diffusione a livello internazionale; qui si organizzarono le Esposizioni floricole internazionali nei parchi e nei giardini pubblici e privati – mitica l’edizione del 1930 a Villa San Pedrino e quella successiva a Villa La Quiete –; qui furono ideate le sfilate dei carri fioriti che portarono a Varese migliaia di turisti stipati nell’allora Corso Vittorio Emanuele II. Una città dunque capace di valorizzare e incrementare le proprie bellezze.

Una città invece ora caduta nell’anonimato, vergognosamente relegata nelle classifiche della qualità della vita al 70° misero posto sui 104 in graduatoria. Una città turistica solo nelle parole o nei vacui slogan propagandistici, con dietro ben poche cose in termini di idee intelligenti e di progetti a lungo termine. Una città che ha abusato della propria ricchezza ambientale per depredarla o tutt’al più usarla come alibi per non far nulla. Una città che pensa e progetta di “volare alto” – ahimè – mettendo vigne e peri in piazza Monte Grappa per accogliere i turisti di Expo, che intende aggredire il colle verde di Montalbano per costruirvi palazzi privati e non ha provato vergogna nel solo pensare di costruire parcheggi sotterranei nei suoi parchi storici o in vicinanza di luoghi sacri.

Varese deve le sue peculiarità alla dilatazione del proprio territorio; questa è la sua vera fortuna; un dato su tutti: Milano ha una superficie di circa 180 km quadrati e una popolazione di circa due milioni di abitanti; Varese risponde con circa 70 Kmq e con soli 81.000 residenti. Una densità bassissima, retaggio dell’accorpamento al nucleo cittadino di rioni fino al 1927 indipendenti. Varese è indubbiamente capoluogo ambientalmente di pregio e di rilevanza. Più che “Città Giardino” sarebbe più corretto il termine di “Città di Giardini”. Privati, però.

Il nostro verde è un verde fatto da privati. La consistenza quantitativa del pubblico è ben poca cosa rispetto al privato: ben diciotto infatti i parchi storici privati tutelati da una legge nazionale e ben 114, sempre privati, quelli ritenuti di interesse storico dal Piano regolatore cittadino. Oltre due milioni di metri quadrati di verde privato di pregio sottoposto a vincoli! Numeri da record; e se a questi si sommano tutti quei piccoli giardini che ogni varesino ha voluto come corredo alla propria casa raggiungiamo cifre da capogiro.

A Varese i giardini sono la città; anzi la città è fatta d’alberi, belli, imponenti, storici. Negli ultimi cinquant’anni si è fatto di tutto per oltraggiare e abusare di questa peculiarità ambientale. Per fortuna gli scempi e le aggressioni durati mezzo secolo, e purtroppo ancora in corso, non sono riusciti – tanto era ricca la dote – a cancellare la caratteristica del territorio varesino. Basta salire al Campo dei Fiori e guardare giù per rendersi conto di come lo sguardo si riempia di spazi verdi, di dimore storiche e padronali, ricche di flora esotica e inusuale, ma anche di abitazioni unifamiliari costruite nel dopoguerra, tutte rigorosamente con il loro spazio verde, ben curato: insomma non una città, ma alberi, boschi e giardini che abbracciano case e attività; un network verde che ingloba il cemento.

“La città in un giardino” ecco il mio sogno e la nomea che vorrei nel futuro per Varese, non più quella abusata e impropria di “Città Giardino” o quella di “ Città di Giardini”. Non un semplice termine frutto di una deformazione professionale, ma qualcosa di più impegnativo e unico. È il desiderio che questa città continui a essere, ancora di più e per sempre, un giardino con alberi frammisti a case e non viceversa. Per realizzare “la città in un giardino” bisogna invertire la rotta; occorre una nuova visione della città, un masterplan globale dell’intero territorio, non già limitato alla sola piazza Repubblica, con un disegno urbanistico, di mobilità, di viabilità, di sostenibilità, di aggregazione con i Comuni limitrofi che riconosca nell’ambiente la vera peculiarità di Varese.

Nella mia mente ho delineato le linee guida per realizzare questo sogno; in fondo Varese, con il suo ambiente, i suoi giardini, il lago e la montagna, è già ben ricca di stoffa pregiata. Molte altre città sono invece carenti proprio di materie prime. Ci vogliono solo i sarti che sappiano collegare e cucire il tutto in un design originale, alto e unitario. “La città in un giardino” è una meta ambiziosa, ma raggiungibile; basta volerlo e avere le idee chiare per farlo.

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