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Opinioni

NOMINE E POLITICA LOCALE

FRANCESCO SPATOLA - 06/03/2015

poltroneL’aspetto più preoccupante delle recenti nomine partitiche al consiglio d’amministrazione della Fondazione Molina non è tanto o non soltanto il caso in sé, già ripetutamente criticato nell’opinione pubblica varesina, e anche da me da candidato escluso (“e ‘l modo ancor m’offende’, mi chiamo Francesco Paolo). Caso commentato dai più come ennesima esibizione della casta partitica, in spregio di ogni valore professionale e di merito.

In verità, quello che preoccupa di più è soprattutto la regolamentazione a monte delle nomine che fanno capo al Comune. Perché di questa regolamentazione irrazionale, che non fissa nessun criterio di valutazione e abbandona tutto alla discrezionalità arbitraria del sindaco, è figlio ben legittimo il laborioso parto dei quattro membri laici (per statuto, uno è designato dal prevosto), che dopo due mesi di trattative “riservate” sono venuti alla luce con la penna del sindaco Fontana nel firmare la nuova composizione del CDA dell’Istituto di viale Borri 133. E finché non viene modificata quella regolamentazione continueranno a essere partoriti analoghi figli e figliastri, che solo per caso e non per scelta potranno corrispondere alle aspettative dei cittadini. Affidarsi alla fortuna potrebbe anche – forse, neanche – andare bene a una bocciofila rionale, ma un Comune della dimensione, della mission istituzionale e del ruolo territoriale di Varese deve essere gestito ben diversamente.

Il Comune controlla partecipazioni azionarie, totali o parziali di riferimento, ed esercita poteri di nomina in alcune delle principali aziende di servizi energetici, ambientali e di mobilità del territorio varesino: da ASPEM SPA (acqua, gas, rifiuti) ad ASPEM reti (per la gestione delle infrastrutture degli stessi servizi di acqua-gas-rifiuti), alla spa per la tutela delle acque del lago di Varese e Comabbio (depurazione acque lacustri), a quella per la tutela del fiume Olona (depurazione acque fluviali), ad AVT spa (parcheggi, funicolare, trasporto disabili), tutte società con significativi patrimoni mobiliari, immobiliari, organizzativi e strumentali. Poiché inoltre ASPEM spa è azionista unico di Aspem risorse spa (teleriscaldamento, risparmio energetico, energie alternative), implicitamente il Comune determina anche le nomine dei relativi organi direttivi.

Sul fronte dei servizi alle persone, oltre alla Fondazione Molina col suo valore socioassistenziale e l’indiscutibile valore immobiliare, il Comune nomina l’organo direttivo della Fondazione Rainoldi, anch’essa socialmente importante: sia direttamente per le attività educative verso i minori a rischio, sia indirettamente per l’ospitare strutture specialistiche per disabili, ed al centro d’un comparto immobiliare strategico per il futuro del centro storico di Varese, interconnesso con sedi scolastiche da razionalizzare ed altri edifici pubblici. Nomina poi rappresentanti di minoranza negli organismi direttivi di dodici fondazioni educative di scuola per l’infanzia, gli ex enti morali a suo tempo consorziati per i servizi di scuola materna, ora convenzionati e – col rispettivo patrimonio di sedi, volume finanziario, personale educativo – parte fondamentale dell’erogazione dei servizi scolastici per l’infanzia nei rioni cittadini. Non di ultima importanza, il Comune ha propri rappresentanti in istituzioni culturali di valore come la Fondazione Pogliaghi.

La nomina dei rappresentanti comunali in quel vasto arco di aziende ed enti non è ovviamente solo una, pur importante, questione di trasparenza. Per la loro posizione di vertice, specialmente negli enti più grandi, i nominati influenzano fortemente l’andamento dei servizi che dovranno essere resi alla città, la buona organizzazione e il valore professionale del personale, la qualità e l’efficienza delle gestioni, le innovazioni tecnologiche di prodotto e processo, i costi da far pagare ai cittadini, le operazioni immobiliari che si rendessero necessarie, per non parlare degli affari loschi o puliti con cui fare i conti in un momento in cui perfino al Nord s’insinua la criminalità organizzata… Mentre negli enti piccoli è cruciale il loro ruolo per assicurarne la logica pubblica e il legame con il rispettivo territorio, con le famiglie e le associazioni, per fare reti virtuose di buone relazioni di comunità. Insomma, le nomine determinano in anticipo se un’azienda o un ente a controllo o partecipazione comunale diverrà o resterà in buona salute, perché come “il pesce puzza sempre dalla testa”, così dalla testa può anche sempre restar fresco e profumare.

Se questa è l’importanza davvero “politica”, cioè vitale per l’interesse collettivo, delle nomine negli enti ed aziende controllati, c’è da mettersi le mani nei capelli a leggere l’attuale Regolamento per le nomine del Comune di Varese, approvato in piena epopea di borgomastri leghisti all’inizio della sindacatura Fontana-bis (novembre 2011). È paradossale che un regolamento, che non dice pressoché nulla sui criteri di scelta delle persone da nominare, si apra annunciando trionfalmente all’art.1 di definire gli indirizzi del Consiglio comunale al Sindaco, come prescritto dall’art. 42 del Testo Unico dell’ordinamento comunale. Testo Unico che, poi, all’art. 50 stabilisce che il Sindaco deve bensì fare lui le nomine ma, appunto, in base agli indirizzi del Consiglio, che è il vero rappresentante democratico dei cittadini.

Si dice sempre: “fatta la legge, trovato l’inganno”, e a quanto pare i leghisti varesini se ne sono mostrati maestri. Loro che, a parole, erano partiti denunciando gli storici difetti dell’opportunismo italiota, addebitandolo a “Roma ladrona”, adesso che vanno a Roma – come nella manifestazione di sabato 28 febbraio – per fare a patti con i neo-fascisti romani, non possono non contaminarsi con quegli stessi difetti secolari, altrimenti come farebbero a schierarsi per l’Italia ex-cialtrona contro l’Europa austera, matrigna e affamatrice? “Simpatiche” astuzie con cui Fontana, se guardiamo alla sostanza, sembra avere precorso il nuovo leader Salvini, al di là dello stile individuale così diverso.

Certo, qualche timido senso di colpa sulla nullità e sul vuoto pneumatico del regolamento deve aver tentato i leghisti, se al secondo comma l’art. 5 stabilisce che nel curriculum vanno indicate “le informazioni che consentano di vagliare adeguatamente la competenza professionale e l’esperienza generale e specifica”, lasciando intendere che il sindaco potrebbe tenerne conto per fare le nomine. Ma tutto è poi rimesso alla libera e onnipotente volontà del borgomastro, che per il resto deve solo preoccuparsi, ogni volta che deve fare delle nomine, di emanare un avviso pubblico per la presentazione delle autocandidature degli interessati, con le generalità, il titolo di studio, il mitico curriculum, la dichiarazione di non avere più da almeno un anno rapporti di lavoro o consulenza con l’ente dove esser nominato, ed infine – grazie a Dio, almeno questo! – di non essere un delinquente.

Dopodiché, espletato il noioso rito di formale omaggio alla democrazia con la raccolta delle domande, si può continuare a covare manovre in politichese nelle auguste stanze di Palazzo Estense. No, così proprio non va. Chiunque sarà a vincere la disfida elettorale della primavera 2016, non potrà non mettere nel programma la radicale modifica del misero attuale Regolamento per le nomine, riempiendolo di criteri veri di merito che portino a una selezione seria e affidabile, sottratta alla casta e restituita alla democrazia rappresentativa, con tanto di parere preventivo del Consiglio comunale (almeno per i casi più rilevanti), per legge non vincolante ma tale da sottrarre le nomine alle carte truccate e all’inconfessato ghiribizzo della casta partitica, per restituirle al controllo popolare.

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