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Chiesa

L’ACQUA, LA VITA

EDOARDO ZIN - 06/03/2015

pozzoUn pozzo. Un’anfora. Un assetato. Una donna straniera e traviata. Un dialogo: la conversione e l’annuncio di un incontro irresistibile. Sono le parole “chiave” del Vangelo di Giovanni proclamato domenica scorsa durante la liturgia domenicale nella chiesa che fu di Ambrogio.

Ricordo il pozzo in mezzo al grande cortile della casa dei contadini dove trovavo ospitalità, durante la guerra, per fuggire ai bombardamenti: una rosa dondolava sull’archetto di ferro battuto che sosteneva il verricello. Rivedo le vere da pozzo dei cortili veneziani e quella, misurata e schiva, che sorge a Varese, dietro la basilica, oggetto di vandalismi da parte dei soliti incolti giovinastri. Ritrovo le fontanelle che, infiorate di gerani rossi, abbelliscono le piazze dei villaggi tirolesi e bavaresi. E le “vedovelle” di un tempo che sorgevano qua e là nelle città, pronte a porgere acqua al passante assetato e i lavatoi dove le donne nettavano lenzuola e tovaglie per poi risciacquarle.

Erano luoghi d’incontro, di scambio di parole, per giudicare i fatti del villaggio o del rione, talvolta per sindacare gli altrui affari, spesso per spettegolare.

Papa Giovanni XXIII era solito presentare la Chiesa come la fontana del villaggio attorno alla quale ci si raduna per attingere acqua, ascoltare e conversare, scambiare affetti, restituire incoraggiamenti.

Anche il pozzo di Giacobbe obbliga la Samaritana a sostare per proseguire con passi leggeri e sospingersi verso casa. Attinge l’acqua. La sua anfora si riempie di questo bene per recarlo a casa e offrirlo a tutti.

Che succederebbe oggi se attingessimo acqua da un pozzo con un orcio di terracotta o con un secchio di plastica? Tireremmo su un liquido che porta dentro di sé i segni evidenti del disprezzo per questo dono che fra poco diventerà più prezioso del petrolio. Si faranno contese e guerre per accaparrarsi le sorgenti idriche come oggi si fa per i giacimenti di petrolio.

L’acqua trasparente e pura, limpida, viva, sempre quella, sempre nuova alle sorgenti, baldanzosa lungo i torrenti diventa melma acquitrinosa lungo il suo percorso perché noi uomini scellerati vi scarichiamo liquami e rifiuti di ogni genere.

Eppure l’acqua invita alla riflessione quando si muove increspandosi o la minuscola onda del lago ripete il suo ricciolo o quando davanti al molo è di un turchino torbido.

L’acqua era motivo di gioco per noi piccini: andavamo a trastullarci lungo la spiaggia o la riva di un lago o di un fiume, vi gettavamo una pietra per osservare i cerchi che si allargavano; gridavamo e scappavamo quando, all’ora della bassa marea, l’acqua gorgogliava rifluendo verso il mare.

Talvolta fa paura quando cade rabbiosamente e il vento la spinge di traverso o quando, gonfia e maestosa, travolge argini, inonda campi, distrugge villaggi e case e la sua voce domestica si fa allora violenta e orgogliosa.

L’acqua disseta ed è essenziale per la vita. Umbi, un giovane laureato che ha messo nel cassetto il suo diploma di laurea in scienze ambientali per dedicarsi, con sapienza, competenza e vera carità, all’accoglienza dei disperati che attraversano il Mediterraneo per approdare in Europa, mi racconta che a salvare vite umane servono di più bottiglie d’acqua, che buoni uomini gettano sui barconi assiepati, piuttosto che gli integratori chimici offerti dai medici. Lo sanno bene quei poveri Cristi che hanno attraversato deserti segnati da un sole protervio, dopo aver patito l’amara sete! Quando anime generose offrono loro l’acqua, prendono al volo la bottiglietta di plastica per calmare la bieca arsura e, quando troveranno approdo, con le mani grate fatte a conca, prenderanno sorsate di acqua fresca.

Gesù va incontro alla Samaritana, anche se è una straniera, e le chiede dell’acqua per dissetarsi. Gli esegeti diranno che è uno stratagemma per incominciare un dialogo più profondo. Quel “Dammi da bere” preannuncia il grido sulla croce: “Ho sete”! Gesù promette alla donna un’acqua che la sazierà per sempre.

Trepido d’incompiutezza alla richiesta di Gesù: è lui l’acqua viva, la carezza della sua mano che mi sfiora, la vita. Eppure ci sono giorni in cui le mie fauci sono secche e la mia sete insopprimibile.

Allora chiedo il Suo soccorso. Sento che risponde ai miei dubbi, ma ho bisogno di incontrarLo in qualcuno, magari in un Suo ministro, che mi confermi nella fede, che mi dia risposte certe, che non mi esibisca la teologia studiata sui libri, ma la sua carità di vita.

Vorrei un prete che mi aiutasse a trovare Dio non solo orizzontalmente, guardando negli occhi le creature che hanno bisogno di tutto, di pane, di acqua, di vestiti, di casa, di lavoro, d’amore, ma anche verticalmente verso l’Infinito, il Creatore, l’Assoluto. Ho sete di tenerezza e di stupore, che commuovono e sostengono. Sono assetato di grandi attese, di risposte agli interrogativi radicali.

Dammi, fratello mio prete, non la tua amicizia, non la tua richiesta di aiuto per organizzare la festa patronale, non la domanda per l’impegno organizzativo, ma il lievito evangelico della fiducia, la nostalgia per un orizzonte meno pigro e grigio. Lo so, hai tanto da fare, devi compiere lo slalom, la domenica, tra tante parrocchie per poter assicurare la messa in ciascuna. Ammiro la tua abnegazione, ma sosta anche tu, magari assieme a me, al pozzo di Giacobbe e abbeveriamoci: ho bisogno che tu mi parli di Dio non solo dall’ambone, ma lungo la strada di ogni giorno. Ho bisogno della tua parola che non annebbi l’anima con i moralismi e i precetti e la rattrappisca nella paura, ma la rinfreschi, la ravvivi, la rinnovi.

Il mio cuore sarà l’anfora di terracotta e sono pronto, nell’umiltà e nella semplicità, a rempirla dell’acqua “che zampilla per la vita eterna”. Allora io non continuerò più ad avere sete.

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