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Società

GIANNANTONI, MEDAGLIA D’ORO

CESARE CHIERICATI - 20/03/2015

giannantoniScrivere di un amico e collega non è cosa semplice, se poi l’amico e collega è Franco Giannantoni è ancor meno semplice. Perché la retorica è sempre in agguato, si rischiano piaggeria e toni encomiastici, cose che certo lui respingerebbe con quella determinazione spigolosa che è stata la cifra del suo lungo percorso di giornalista e di storico, giunto al traguardo del mezzo secolo di appartenenza all’Ordine dei giornalisti della Lombardia che, giovedì prossimo 26 marzo, lo premierà con una medaglia d’oro.

Non so se Franco, forzando un poco la sua naturale ritrosia, andrà al Circolo della Stampa di Milano a ritirare, con un discreto numero di altri colleghi, l’onorificenza. Poco importa, ciò che invece importa è che l’occasione offre lo spunto per parlare brevemente di lui e del suo lavoro. Per dire subito che i varesini tutti, anche quelli che da lui hanno dissentito in passato e dissentono ora, dovrebbero essergli grati per aver contribuito in maniera decisiva a emancipare l’informazione in una città come Varese dove “i poteri costituiti” hanno sempre esercitato su di essa un peso notevole. Basti pensare, per esempio, come la stampa locale sia stata sostanzialmente silente nei decenni della grande cementificazione cittadina, salvo qualche voce di dissenso sia pure autorevole.

La musica cambiò radicalmente quando Il Giorno diretto da Italo Pietra, allora quotidiano di punta dell’editoria italiana, inventò nei primi anni Sessanta le pagine di Lombardia e affidò quella della nostra città a Franco Giannantoni che si era fatto le ossa nella redazione della Prealpina. Quasi ogni giorno riuscì a confezionare una pagina di “controinformazione” locale andando ad affrontare temi lasciati in ombra, ad approfondire fatti di cronaca in apparenza trascurabili, a denunciare situazioni di grande criticità ambientale. Come l’inquinamento del lago, ammorbato dagli scarichi industriali della Ignis e da quelli civili.

Fu un suo circostanziato reportage ad alzare il velo su una realtà che, nonostante qualche miglioramento, resta ancora oggi molto critica. Come non ricordare il rumore sollevato da quell’inchiesta, la reazione ipocritamente sdegnata della classe dirigente locale. Giorgio Bocca che giunse in città ad affiancarlo, scrisse un pezzo memorabile con un inizio che non lasciava scampo: “Se Piacenza galleggia nella nebbia Varese si specchia nella merda…”.

Sul finire degli anni’60 la cronaca politica locale, con rilevanti risvolti di polizia e giudiziari, impegnò Giannantoni severamente. Il ’68, esploso nelle università milanesi e romane, ebbe pesanti ricadute locali, la città fu attraversata da tensioni crescenti, da contrapposizioni violente animate da gruppi extraparlamentari di sinistra e di estrema destra. La provincia varesina del resto ebbe un ruolo non secondario nel fornire giovani al terrorismo nascente delle BR e di Prima Linea.

Nel ‘74 firmò “Varese in camicia nera”, rapporto sul neofascismo a partire dal ’69, una radiografia circostanziata e precisa sul radicamento dei partiti della destra tradizionale e sulle organizzazioni eversive neofasciste attive in provincia. Seguito a breve distanza di tempo da “Varese dal manganello alle bombe” con la strage di Piazzale Maspero che costò la vita al fioraio di Casbeno Vittorio Brusa, un’inquietante salto di qualità che accreditò Varese come sede privilegiata di un rinascente squadrismo.

Da lì cominciò il suo lungo, appassionato e infaticabile viaggio attraverso la storia del fascismo e della Resistenza: ricerche puntigliose, analisi approfondite, scoperte di scomode verità e di imbarazzati silenzi come nel bellissimo “Gianna e Neri”, storia di un “tradimento” tra la fucilazione di Mussolini e l’oro di Dongo (Mursia).

Lavorando sul doppio registro dei grandi avvenimenti nazionali (divenne inviato speciale del Giorno) e di quelli locali ci ha regalato preziosissimi libri di storia. Mi piace ricordare gli ultimi quattro: “Un eroe dimenticato” che ha svelato a Varese e all’Italia tutta il piccolo grande uomo Calogero Marrone, siciliano di Favara, capo dell’ufficio anagrafe del Comune deportato e morto a Dachau per aver rilasciato centinaia di certificati di identità falsi ad ebrei ed antifascisti;

“La bicicletta nella Resistenza”, (Arterigere) scritto con Ibio Paolucci, sodale di tante battaglie di libertà, nel quale i due autori descrivono il ruolo sovversivo della bicicletta con brevi ma incisive biografie di partigiani e partigiane impegnati nella lotta di liberazione;

“Varese i luoghi della memoria” (Arterigere ), una mappa accurata e ragionata di strade, edifici, ville, indirizzi che furono teatro della repressione nazifascista, un volumetto che dovrebbe circolare nelle scuole perché riaccende la memoria del periodo bellico attraverso la forza evocativa e la concretezza dei luoghi.

Infine “I giorni della speranza e del castigo” (Emmeeffe), l’ultima grande fatica, come sempre un lavoro accuratissimo, un affresco storico che racconta il sofferto viaggio dalla Liberazione al primo dopoguerra attraverso le sentenze dei tribunali del popolo, i processi della Corte d’Assise, gli eccidi della bande irregolari, il fallimento delle epurazioni, l’amnistia Togliatti.

Dunque grazie Franco, dopo più di mezzo secolo di lavoro appassionato e incisivo come giornalista e storico di altissimo profilo.

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