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Opinioni

L’INGANNO E LA LEGGE

FRANCESCO SPATOLA - 20/03/2015

BerlusconiLa definitiva assoluzione di Silvio Berlusconi in Cassazione per il processo Ruby, sia rispetto all’accusa di concussione sia per quella di prostituzione minorile, ha scatenato reazioni di trionfo sul fronte della destra politica, che lo proclama nuovamente come salvatore della patria in disfacimento. Mentre ha visto sul fronte di sinistra un interessato basso profilo, formalmente motivato da “sacro” rispetto per la Magistratura – cui è stato inflitto da poco il colpaccio della responsabilità civile senza filtro – ma anche tentato dal sorriso e da rosei orizzonti per il “libero” ritorno in campo dell’ex Cavaliere, la cui sola minacciosa presenza come avversario basta a ricompattare l’elettorato democratico, farne riemergere dall’astensione i delusi e subito risalire il gradimento nei sondaggi (+ 1% al PD in un sol giorno), mentre l’eventuale divisiva ripresa futura del “patto del Nazareno” ha da tempo scontato il vantaggio di acquisire al PD di Renzi altre fette di elettorato di centro-destra.

Feste a destra e sorrisi a sinistra che concordano sotto sotto sul dare addosso, direttamente e clamorosamente dalle parti di Forza Italia e sommessamente in area PD, alla magistratura inquirente per tempo e soldi buttati via, e alla magistratura giudicante per presunte incoerenze e quindi inaffidabilità generale, visto il totale ribaltamento tra giudizio di colpevolezza in primo grado e giudizio d’assoluzione in appello, confermato in cassazione. Resiste solo, singolarmente in sintonia con le poche voci dissidenti di sinistra radicale, l’opinione della gerarchia cattolica, con i severi commenti del quotidiano Avvenire e del presidente della CEI cardinale Bagnasco, che sottolineano come l’assoluzione giudiziaria non implichi l’assoluzione morale, data la permanente censurabilità etica del comportamento bensì privato di Berlusconi ma d’inevitabile rilievo pubblico, sia per la posizione di Presidente del Consiglio all’epoca dei fatti del processo sia per il ruolo di leader politico e imprenditore culturale-televisivo a tutt’oggi.

Certo, a ragionamento inverso, nemmeno la censura etica implica la censura penale né salva dalle critiche l’insuccesso giudiziario complessivo della magistratura italiana. Però induce, quanto meno, a un approfondimento sull’iter del processo Ruby, quale ultimo test aggiornato dei pessimi rapporti tra potere giudiziario e potere politico, e tenendo conto che “a pensar male si fa peccato, ma s’indovina” secondo il divo Giulio. Suggerisco di leggere le parti essenziali della sentenza 18.7.2014 n. 970 della 2^ sezione penale della Corte d’Appello di Milano: se ne ricava non solo un quadretto di costume sui coloriti passatempi degli uomini di potere (pagg. 39-62), sulle schiene piegate o diritte dei funzionari di polizia (pagg. 185-228), sull’instabilità psicologica e relazionale delle ragazze che farebbero “la bella vita” (pagg. 24-35), ma anche e soprattutto una concreta percezione delle cause politico-istituzionali della sentenza assolutoria, resa pressoché obbligata dalle modificazioni legislative della definizione giuridica del reato di concussione, introdotte dopo l’avvio del processo Ruby con la Legge Severino n. 190/2012, cd. “anticorruzione”.

Infatti con la scusa di contrastare la corruzione, ossia il reato del pubblico ufficiale che accetta denaro o altra utilità da un privato per compiere abusivamente atti di competenza, il governo Monti fece un bel favore a Berlusconi che allora lo sosteneva, sdoppiando il reato di concussione, complementare alla corruzione in quanto puniva l’illecita pressione del pubblico ufficiale sul privato per ottenerne abusivamente vantaggi, denaro o altra utilità (ad esempio, un sindaco che imponga all’autista comunale di portare la propria amante a fare shopping con l’auto blu; il sindaco è il concussore, l’autista il concusso). Dall’originaria unità di concussione per costrizione-induzione dell’art. 317 del codice penale, si passò a due ben distinte tipologie di reato: 1) la concussione per costrizione al nuovo art. 317 da una parte, con pena solo per il concussore; 2) la concussione per induzione indebita al nuovo art. 319-quater dall’altra, comprensiva di complicità del concusso che veniva anch’egli punito.

Esigenza pubblica di meglio chiarire il reato? Niente affatto, probabilmente, ma a mio giudizio una furbata all’italiana per indebolire l’accusabilità dei concussori ogniqualvolta – bontà loro – non usino lupara/bazooka per convincere i concussi. In verità, sfruttata per prima in un processo a Filippo Penati a carico di funzionari Coop, quando alla guida del Partito Democratico non c’era il maligno Renzi, traditore dei valori di sinistra, ma il buon Bersani, che insieme a Berlusconi sosteneva il governo Monti e la ministra Severino; casomai a Renzi può imputarsi di non avere modificato quella perniciosa innovazione, nonostante le critiche subito avanzate al nuovo testo da Raffaele Cantone, che i renziani portano in palmo di mano.

Dello svigorimento giuridico della nuova concussione fu comunque costretta a prendere atto la Corte di Cassazione a sezioni unite il 24 ottobre 2013, ridefinendo la materia con il concetto di “pressione irresistibile” nel caso della costrizione; mentre per la neonata “induzione indebita” si imponeva il vantaggio per il concusso, una sorta di patto segreto con il concussore, cosicché dovevano esser puniti entrambi. Mentre il vecchio e unico reato di costrizione/induzione indistricabili consentiva di comprendere e punire le casistiche intermedie, la nuova impostazione sdoppiata finiva per polarizzare la casistica, considerando concussione solo i casi della pistola alla tempia (costrizione) o delle mazzette di denaro in tasca (induzione), trascurando la vastissima gamma di favori o intimidazioni più o meno ampi, che chiunque abbia lavorato anche solo per una settimana in una Pubblica amministrazione capisce a menadito; e, soprattutto, con la decisiva assurdità di mettere sulla stessa barca concusso e concussore nella “induzione indebita” punendoli ambedue, anziché creare tra loro un conflitto d’interesse che favorisca l’accertamento della verità. Arzigogoli giuridici.

La nuova impostazione era troppo recente per incidere immediatamente sulla sentenza di primo grado, che pur emessa a pochi mesi dalla Legge Severino (16.6.2013) era arrivata a riconoscere la costrizione in forza dell’impostazione originaria su cui era stato avviato il processo dalla Procura milanese, e senza che si fossero ancora pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione. Ma in sede di appello la Corte – seppure a maggioranza, col parere contrario del suo stesso Presidente, che subito dopo si è dimesso dalla Magistratura! – è stata trascinata a valutare un concetto forzato e forzoso di costrizione: il comportamento di Berlusconi, che da Parigi al ritorno dalla riunione OCSE telefonava al funzionario di polizia Ostuni per indicargli l’affido a Nicole Minetti di Ruby, minorenne straniera non accompagnata sotto indagine per furto e “nipote di Mubarak”, anziché lasciarla consegnare alla comunità minorile (indicata dalla Procura del Tribunale per i Minorenni), per come risulta agli atti processuali. Il comportamento del funzionario di polizia, che s’era affannato a rilasciare Ruby dopo avere parlato telefonicamente con B., in appello viene derubricato a “deferente ossequio”, “suggestione”, “timore reverenziale per l’elevata carica istituzionale dell’interlocutore” (pag. 236), essendo evidente che il funzionario non aveva ottenuto alcun vantaggio dal soddisfare B., come mostrato anche dal fatto che la Procura non aveva ritenuto di imputarlo ma aveva continuato a considerarlo “vittima”. In linguaggio “volgare”, nel nuovo contesto normativo l’assoluzione di B. arriva per subentrata insufficienza di prove, capovolgendo il motto popolare in quanto “fatto l’inganno, trovata la nuova legge”.

Non stupisce che nel nuovo contesto ipergarantistico da inganno di legge cada pure l’accusa di prostituzione minorile, dato che alla Corte non risulta provato che B. conoscesse davvero la minore età di Ruby. Che poi il carattere prostitutivo dell’ambiente non abbia colpito granché l’opinione pubblica al di fuori di Avvenire e della CEI, non meraviglia se si pensa che la stima della clientela maschile italiana delle prostitute è calcolata in un arco dai 2,5 milioni del prudentissimo Gruppo Abele (convegno gennaio 2014) ai 9 milioni del Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio (indagine Transcrime).

In verità, il danno morale maggiore che si deduce a nostro parere dall’osservazione disincantata della vicenda giudiziaria come epilogo simbolico del ventennio berlusconiano è forse proprio il prosciolto e “vincente” degrado culturale cui è stata condannata l’Italia con le sue televisioni commerciali, con il suo intrattenimento becero e kitch da strapaese della periferia americana. Non dimenticando il penoso lascito della disastrosa riforma Gelmini, che con i suoi programmi nel peggior stile banale-americano sta distruggendo la scuola superiore italiana – già una delle migliori, se non la migliore del mondo – abbassandone il livello a quello basso-popolare delle invereconde televisioni. Il resto, anche questo episodio di giustizia impallata, sono conseguenze inevitabili, pressoché necessari “derivati”.

 

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