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Cultura

RUPNIK/2 MESSAGGIO DI BELLEZZA

ANNA MARIA FERRARI - 03/04/2015

veduta laterale parrocchiale casciago

La parrocchiale di Casciago

Venerdì 13 marzo un incontro con l’artista Marko Rupnik a Casciago nella chiesa parrocchiale dei santi Agostino e Monica ha illustrato il significato del nuovo battistero che qui è stato realizzato.

Il nuovo battistero della comunità di Sant’Eusebio (che unisce Casciago, Morosolo, Luvinate e Barasso) riqualifica l’imponente, e piuttosto spoglia chiesa parrocchiale, consacrata dal cardinal Schuster nel lontano 1938: all’esterno le imponenti strutture sono rivestite da un semplice paramento di pietra e mattoni a vista mentre l’interno, che si articola in tre navate separate da possenti colonne, fu decorato negli anni Sessanta da una campagna di mosaici ed affreschi voluti dal parroco di allora, don Sandro Ravasi. All’amministrazione del battesimo in origine era stato destinato un fonte battesimale posto nella navata sinistra ma mancava un vero e proprio spazio liturgico destinato a sottolineare l’ingresso nella comunità cristiana, così come avveniva, in imponenti edifici, nei primi secoli di diffusione del Cristianesimo.

Marko Rupnik, un gesuita di origine slovena dalla solida formazione artistica e teologica, da anni realizza mosaici girando tutto il mondo con una piccola comunità di consacrati; suoi, ad esempio, sono gli interventi a mosaico nella nuova chiesa intitolata a San Pio da Pietrelcina a San Giovanni Rotondo in Puglia. A Rupnik è stato affidato il compito di dar corpo ad un’idea di don Norberto Brigatti, il sacerdote che guida la comunità di Sant’Eusebio: ricavare lo spazio del nuovo battistero nel braccio destro del transetto della chiesa. A Casciago l’équipe di Rupnik (che fa riferimento al Centro Aletti di Roma) ha lavorato intensamente per circa una settimana, secondo una ferrea tempistica e iniziando il lavoro dopo la messa del mattino.

Il nuovo battistero sicuramente sorprende per lo smagliante fulgore dei mosaici che rivestono l’abside ed il catino absidale e per il ritorno ad un’idea di bellezza e splendore che si riallaccia alla tradizione dei mosaici paleocristiani e medievali. Certamente si tratta di un’opera la cui qualità stride con gran parte degli edifici di culto realizzati negli ultimi cinquant’anni: si tratta di edifici che, dice Rupnik, non rimandano alla casa di Dio ma possono essere facilmente scambiati per uno show room, per una sala da concerti o addirittura per il capannone di una fabbrica: la bellezza è stata bandita per anni da molte delle nuove chiese. Nel Medioevo le chiese erano più belle delle case, oggi avviene il contrario. E le chiese hanno smesso di affascinare con la loro bellezza chi vi mette piede. Don Rupnik ha citato a questo proposito un anziano missionario che, anni fa, profetizzava che l’Africa nel giro di un quarto di secolo avrebbe abbandonato il Cattolicesimo: in Africa non si sono costruite meravigliose cattedrali (come è avvenuto in Europa, spesso nei periodi di più grave crisi economica) ma le chiese edificate in Africa sono spesso angusti capannoni disadorni, con le immancabili stazioni della Via Crucis, l’immagine dolente del Cristo in croce e accanto quella, magari in gesso, della Madonna col Bambino.

Ma dalle parole di Rupnik pare di poter arguire che la rinuncia alla bellezza e l’assuefazione al brutto hanno anche un’altra spiegazione: se la morte è l’unico orizzonte certo della vita umana, se non esiste nessuna vita oltre i giorni che ci toccano perché allora inseguire una bellezza che non sia effimera? Se la morte è l’unica certezza, allora essa appiattisce e livella la distinzione tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, tra ciò che è nobile e bello da ciò che non lo è. Tanto vale dissiparsi nel presente, rassegnarsi al nulla eterno, non costruire nulla di bello.

Invece il Cristo rappresentato nel mosaico di Casciago è il Salvatore che trionfa sulla morte, sugli Inferi, rappresentati da un orrendo mostro con le fauci spalancate. Cristo è ucciso sulla croce ma non è vinto dalla morte: scende agli Inferi e, con le mani segnate dal segno dei chiodi che lo trafissero, libera l’umanità (Adamo ed Eva) dalla morte così come l’acqua del battesimo scende su chi si accosta al fonte battesimale e lo libera dal peccato originale per conferirgli la dignità di figlio del Padre e la promessa di vita eterna, come indicato dal Padre benedicente, rappresentato in alto nel catino absidale, che regge un libro con l’iscrizione “Io sono la vita”.

E le linee che accompagnano il Cristo nella discesa agli Inferi rimandano anche al profilo della coppa di un calice che idealmente poggia sul piede del calice stesso, costituito dalla vasca del fonte battesimale; in questo modo sia il Battesimo sia l’Eucarestia sono collegati idealmente nell’immagine della discesa agli Inferi – riletta da Rupnik attraverso le suggestive parole di San Efrem il Siro, vissuto nel IV secolo – e all’interno di uno spazio contrassegnato dalla Trinità (cui rimandano i tre cerchi, uno bianco, uno rosso e uno blu).

E Cristo nello splendido lembo del mantello svolazzante porta con sé i volti dei Santi della comunità pastorale: Sant’Eusebio, Sant’Ambrogio, Sant’Agostino e Santa Monica, San Martino e i Santi Ippolito e Cassiano. Un rimando evidente alla comunione dei santi e al corpo mistico di Cristo, di cui i fedeli costituiscono il corpo, proprio come ciascuna delle tessere collocate dall’équipe di Rupnik costituisce il grandioso mosaico di Casciago.

Ed è l’intera comunità pastorale di Sant’Eusebio che sta sostenendo l’onore dei costi di quest’opera.

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