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Attualità

25 APRILE/3 SPRECO DI UNA GRANDE EREDITÀ

EDOARDO ZIN - 24/04/2015

liberazione25 aprile 1945. Avevo poco meno di cinque anni. Dalla strada salivano il fragore dell’andatura compatta delle truppe di liberazione che sfilavano tra le grida di giubilo delle ragazze, i battimani dei più anziani, i canti dei partigiani. Ma io non potevo guardare. I miei avevano sprangato le ante dei balconi in segno di lutto perché un mio fratello, diciassette mesi prima, era stato ucciso in un attentato terroristico durante la guerra fratricida.

Finalmente, però, potevo parlare e spiattellare che nella nostra soffitta era stato nascosto un mio cugino partigiano ricercato dai nazifascisti, un comando dei quali era situato proprio nell’appartamento che si affacciava sul nostro medesimo pianerottolo. La prima libertà da me conquistata fu, quindi, l’espressione di parola!

Solo più tardi, grazie alla scuola, alle letture e alle associazioni giovanili, appresi che la libertà era stata negata per più di un ventennio e che molte persone, i giovani con l’azione, i più anziani con la saggezza e la convinzione, l’avevano conquistata, difesa e a noi consegnata ad alto prezzo.

Durante l’adolescenza capii che la libertà è tensione verso la liberazione da ogni forma di costrizione illegittima o anormale, che questa tensione diveniva possibilità di migliorare la propria condizione e che questa conquista, a sua volta, convergeva nel coraggio per allargare a chiunque ne fosse privo le stesse nostre condizioni.

Il mio professore di filosofia, che era salito sui monti per preparare la nuova stagione di libertà, ci ripeteva che questo valore non è mai definitivo perché fragile e inquinabile.

Corollari della libertà – c’insegnò – erano la democrazia e la giustizia. La libertà per essere vera e qualificante doveva ripartire dall’interiore di ogni uomo: ogni cosa diventava dell’uomo, mia; ogni battaglia dell’uomo e per l’uomo doveva diventare cosa mia. Ci dovevano stare a cuore i nostri coetanei sfruttati nei cotonifici, coloro che, possedendo solo la licenza elementare, erano costretti a fare i “vaccari”, i disoccupati che non trovavano lavoro perché in tasca non avevano una tessera di partito.

Ci spiegava, quel testimone di vita, che ogni terra lontana era terra nostra e incitava noi, giovani cattolici, impegnati nella “san Vincenzo” a passare dall’assistenzialismo alla giustizia e a trasformare i nostri discorsi in elevazione culturale. Appresi così che la libertà è fratellanza di uomini e resiste ad ogni tipo di dispotismo: la resistenza aveva unito, in Italia e in Europa, tutti coloro che lottavano contro le dittature, il nazionalismo, “forma idealizzata da presunzione”, contro le paure, le frontiere chiuse e barricate: Lo sguardo puntato su di esse – diceva – ammalava gli uomini di violenza, mentre lo sguardo sul prossimo ci guariva dall’odio e dalla brutalità. E ci faceva sognare un’Europa unita, libera e prospera.

25 aprile 2015. Settant’anni dopo, la libertà, donataci da tanti giovani morti per essa, sembra scontata. Per la maggior parte dei giovani d’oggi la libertà si è trasformata in libertinaggio e in emancipazione. Parafrasando Saint-Exupéry, possiamo dire che chiamano libertà il vagare nel vuoto. Sono giovani infinitamente più ricchi di mezzi e di possibilità, ma molto più poveri di libertà interiore, omologati, sconfitti, delusi, decisi a non ritentare, a non sollevarsi dopo le cadute, rassegnati anche perché noi padri abbiamo lasciato a loro in eredità, dopo la caduta delle ideologie, un mondo senza idee.

In questo mondo apparentemente libero si trovano a vivere non interessati ai milioni di giovani come loro che sono schiavi della guerra, della fame, della tratta, dell’ignoranza da cui cercano disperatamente di liberarsi.

Sono giovani rimasti senza dialogo con il passato: lo hanno visto cadere dietro la fragilità della famiglia che non li ha aiutati ad avere un carattere forte, una volontà di sacrificio e di disciplina utili per affrontare le difficoltà della vita. Lo hanno visto cadere dietro a una scuola che ha offerto solo competenze che non si sono trasformate in conoscenze utili per formare uomini liberi che ragionano con spirito e metodo critici. Lo hanno visto cadere in uno stato costruito sulla corruzione, al servizio dei potenti, della finanza e dell’economia, ma non dell’uomo. Lo hanno visto cadere nella politica in cui la tattica ha ucciso la giustizia sociale. Lo hanno visto cadere quando il bene comune si è identificato con l’interesse e il potere di pochi o perfino di uno solo. Lo hanno visto cadere anche nella religione che non desta più alcun fervore, non pone casi di coscienza se non in materia di sessualità.

Le libertà individuali scoperte dall’Illuminismo, quelle sociali della fine dell’Ottocento, quelle donateci dalla democrazia nata dalla resistenza per tanti giovani sono ovvie e per taluni incomprensibili; quelle di cui hanno diritto le persone che reclamano rispetto per la loro dignità, al di là della razza, dell’etnia, del sesso, del ceto sociale, della religione sono volutamente scordate.

Ma accanto a questi, ci sono giovani che vivono sul serio la libertà della loro esistenza e sanno darle un senso. Sono giovani che non rimangono chiusi nei loro orizzonti e si aprono senza esitazione all’Europa e al mondo, affrettando il passo vigoroso verso un pianeta più vivibile e le cui radici non spengono in loro il desiderio d’accoglienza e di ospitalità. Sono giovani che hanno un cuore capace di donarsi nel volontariato, negli oratori, pochi nel sindacato e nei partiti, molti tra i migranti, i profughi, gli anziani. Sono giovani che non si lasciano incantare dal fascino di chi riempie le menti con l’imperio della menzogna e dei facili slogan. Sono giovani che, quando lo trovano, non temono un lavoro difficile e mettono la loro fatica al servizio della società. Giovani che non rimandano sempre agli altri, allo Stato, ma che si mettono in gioco e si rimboccano le maniche. Giovani che sanno che la partecipazione non è solo una parola, ma un’esigenza della loro condizione umana. Sì, partecipano tutti alla stessa umanità, sperano e si abbattono, pregano e peccano, cadono e si rialzano.

Questa molteplicità è l’arcobaleno dei colori della luce che rischiara ogni azione umana: la libertà.

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