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In Confidenza

IL BUON PASTORE

Don ERMINIO VILLA - 24/04/2015

Il Buon Pastore dei Musei Vaticani dalle catacombe di san Callisto

Il Buon Pastore dei Musei Vaticani dalle catacombe di san Callisto

La bella parabola del “buon pastore” è stata raccontata da Gesù per esprimere in modo comprensibile da tutti l’immenso amore di Dio per noi.

Provare misericordia significa coltivare sentimenti di bontà per qualcuno che è infelice o, in altre parole, “avere cuore per le nostre condizioni di bisogno e di miseria”.

Il pastore della parabola, appena si accorge che una sua pecora si è smarrita, non se la prende con lei, reagendo da arrabbiato: “Peggio per lei… si è voluta allontanare, adesso si arrangi: cerchi riparo dove vuole!”.

Ma siccome è buono, si preoccupa subito per la sua salvezza, mette in fretta al riparo tutte le altre e corre a cercare quella smarrita.

Non bada alla stanchezza, ma cammina finché non la trova; poi, ritrovatala, non la sgrida, non le fa neanche notare tutti gli sforzi che gli è costata, ma con grande tenerezza se la mette al collo e, felice, torna a casa a far festa per la gioia di averla ritrovata.

Il pastore buono è Gesù, che ama ogni uomo con amore infinito. Noi possiamo peccare, allontanandoci dalla sua amicizia, ma lui continua a volerci bene e usa misericordia verso di noi, dispiacendosi del nostro peccato che ci rende soli e infelici.

Con questa parabola il Signore vuole assicurarci dell’amore speciale che nutre per i peccatori: offrendoci la possibilità di ricupero, ci riammette nella vita di comunione, che è la bellezza della Chiesa.

Basta essere umili e pentiti per gli errori commessi per sperimentare la bontà di Dio, sempre pronto a perdonare.

Gesù non ha solo espresso con parabole il suo grande amore, ma ce l’ha dimostrato lasciandosi inchiodare e offrendo la vita per noi sulla croce. Lì, poco prima di morire, ha chiesto al Padre perdono per tutti noi, che sbagliamo ripetutamente. Così ha riaperto la porta del paradiso, da cui per colpa nostra eravamo stati esclusi…

Cosa poteva fare di più?

Cristo è risorto, per dimostrarci che l’amore è più forte anche della morte e che, oltre a perdonare i passi falsi della vita passata, Dio non ci lascia soli nel cammino di una vita nuova.

“Ciò che mi spinge a credere è la croce – ha scritto Blaise Pascal – ma ciò in cui credo è la vittoria della croce”: la risurrezione. Il segno del mattino di Pasqua è un sepolcro vuoto.

Nella storia umana manca un corpo per chiudere in pareggio il conto degli uccisi; la contabilità della morte è in perdita. E questo apre una speranza che va oltre la vita uccisa: il carnefice non avrà ragione della sua vittima in eterno.

Cristo stesso è “la risurrezione e la vita”.

Dal fondo del mio essere, dall’intimo di ogni uomo, dagli inferi della storia, Gesù è energia che ascende, vita che germina, masso che rotola via dall’imboccatura del cuore.

Chi vive in lui, chi è in lui compreso, è preso da lui nel suo risorgere: “Cristo non è venuto a portarci una teoria religiosa o un sistema di pensiero; è venuto a portare vita e a creare in noi l’anelito verso più grande vita” (Giovanni Vannucci).

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