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Attualità

CONVITATA DI PIETRA

CESARE CHIERICATI - 30/04/2015

stabio

La nuova stazione svizzera di Stabio

A furia di chiamarla riduttivamente Arcisate – Stabio, anziché Mendrisio – Varese – Malpensa, buona parte dell’opinione pubblica locale – esclusi è ovvio gli abitanti della Valceresio e del mendrisiotto – deve essersi convinta che si tratta di un ramo ferroviario marginale, se non proprio inutile almeno non strettamente necessario, frutto di una decisione presa in tempi di vacche relativamente grasse e oggi un investimento molto più costoso del previsto anche alla luce delle controversie tra la Rfi (Rete ferroviaria Italia) e l’impresa Salini appaltatrice sia della tratta italiana sia di quella ticinese, quest’ultima conclusa e funzionante entro i tempi contrattualmente stabiliti sia pure con un supplemento di costi intorno al 20% rispetto ai preventivi.

Come molti ricorderanno il pomo dell’insanabile discordia tra appaltatore e appaltante è stato l’arsenico incorporato alle terre di scavo per legge inutilizzabili nelle successive fasi dei lavori e da stoccare in apposito sito super sicuro. Di qui una contrapposizione aspra tra le parti (Rfi –Salini), il fermo dei lavori, l’intervento del Cipe (Comitato interministeriale per la politica economica) per avere un supplemento di fondi per lo stoccaggio delle terre arsenicate la cui presenza peraltro – finora nessuno ha chiarito la ragione – non venne rilevata in fase di progettazione e analisi dei terreni. Trascuratezza, imperizia, calcolo per lucrare sulle varianti in corso d’opera secondo collaudato italico costume? Non lo sappiamo e probabilmente con certezza non lo sapremo mai. Sta di fatto che sul versante varesino la ferrovia si è arenato dopo aver messo sotto sopra brani interi di Induno Olona e Arcisate.

Come da copione magrissima figura a livello internazionale con la Svizzera scandita da: fermo dei lavori, rottura consensuale del contratto tra Rfi e Salini, siparietti mediatici in serie con reciproche minacce di azioni legali tra i due contendenti; la promessa (pare mantenuta) delle ferrovie di avviare opere di mitigazione dei disagi causati con gli scavi; l’assegnazione di un nuovo appalto entro il 30 giugno; la ripresa dei lavori il primo luglio prossimo, l’ultimazione degli stessi il 30 giugno 2017. Un crono programma messo nero su bianco frutto anche del tenace pressing esercitato su Rfi dai sindaci di Induno Olona e Arcisate. Onore al merito viste le spesso impenetrabili giungle burocratiche che si incontrano a livello ministeriale e non solo. Il tutto con Varese, capoluogo di 80 mila abitanti, città perno della nuova linea internazionale nella veste del convitato di pietra, con la giunta e il sindaco Fontana, indunese e già primo cittadino della stessa Induno, silenti e disinteressati come se la nuova strada ferrata anziché alla Linea del Gottardo e dunque al grande e produttivo nord europeo allacciasse la città giardino a qualche linea secondaria o, peggio ancora, a un binario morto. Senza dimenticare che inoltre, via Mendrisio, anche Varese e Como tornerebbero a comunicare come era accaduto fino a metà degli anni sessanta quando venne cancellata la linea diretta, via Malnate, delle Nord allora in mano privata, con la capitale lariana. Oggi per una gita a Como e viceversa in auto ci si impiega circa un’ora per fare meno di trenta chilometri.

Con i suoi 50 mila abitanti o poco meno, undici comuni importanti, un sito Unesco, quello del Monte San Giorgio in condominio con il Canton Ticino, la Valceresio ha poi delle urgenze peculiari a cui rispondere, come la mobilità dei frontalieri che, a treni funzionanti, potrebbero lasciare molte auto nei parcheggi di corrispondenza delle stazioni e raggiungere i posti di lavoro ticinesi col treno: una riduzione di costi e di stress da un lato, una riduzione del traffico stradale e dell’inquinamento dall’altro. Del resto basta una visita alla nuova stazione di Stabio per rendersi conto che l’alternativa ferrata funziona eccome. Già oggi, pur essendo in esercizio, per colpa delle italiche beghe, solo il brevissimo tratto con Mendrisio, il parcheggio è un approdo funzionale per molti frontalieri e lavoratori ticinesi che scelgono il treno. In definitiva oltre al fiato sul collo dei sindaci della Valceresio, Rfi dovrebbe avvertire anche quello più pesante e autorevole dell’esecutivo varesino magari avendo presente, nel caso lo si fosse dimenticato, che oggi il territorio va pensato, studiato e organizzato con un respiro ben più ampio degli (anti)storici confini comunali.

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