Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Politica

PARENTI SERPENTI

FRANCESCO SPATOLA - 30/04/2015

Rosy-Bindi“A pensar male si fa peccato, ma s’indovina”, ammoniva sarcastico il divo Giulio a chi osasse richiamarlo alla rettitudine evangelica, inappropriata in politica.

L’ostinata resistenza della minoranza PD al testo della nuova legge elettorale in approvazione definitiva alla Camera, il cosiddetto “Italicum”, s’è inserita in un vasto coro di clamorose proteste delle opposizioni contro la svolta “autoritaria” di Renzi e il fantasma della “dittatura” incombente. Per la minoranza PD, la contestazione sembrava dovesse riguardare soprattutto la questione delle preferenze, con l’eliminazione o almeno la riduzione dei capilista bloccati per evitare “il Parlamento dei nominati”, e solo marginalmente il premio di lista anziché di coalizione, che oggi favorirebbe il PD e penalizzerebbe la destra, incapace di fare emergere un partito forte e frantumata tra quattro-cinque liste, in grado di vincere solo se il premio di maggioranza andasse alla coalizione e non al singolo partito più votato.

Nel prediligere il premio di coalizione, la minoranza PD andava contro gli interessi del proprio partito, all’apparenza per eccesso etico di purità evangelica, di perfezionistico rispetto per la frammentazione dell’elettorato, nonostante che da sempre ne sia disceso – anche a danno della sinistra di governo – il frazionismo politico italiano, il proliferare di partitini che ricattano le maggioranze di turno per interessi particolari e impediscono l’unitarietà dell’azione governativa, salvo discolparsi degli insuccessi denunciando i contrasti nella coalizione. Perfezionismo che faceva pensare all’ossessione olimpico-decoubertiniana della sinistra PD alla predilezione suicida per “partecipare” anziché “vincere”.

Ma le ultime precisazioni televisive di Rosy Bindi (ancora su La7: “Otto e mezzo” del 22 e “Piazza pulita” del 27 aprile) capovolgono le priorità: la contrapposizione vera è proprio sul premio di lista anziché di coalizione, la questione dei capilista bloccati è secondaria, e Rosy sembra quasi l’improbabile alter ego di Fitto e Brunetta, ferrei nemici d’un premio di maggioranza deleterio per Forza Italia, sprofondata sotto il consenso elettorale della Lega di Salvini e non più all’altezza di quella vocazione maggioritaria che nel 2008 il Berlusconi ancora baldanzoso condivideva con Veltroni. Anche la motivazione sembra avvicinare, in modo paradossale, la coriacea pasionaria della sinistra PD ai bellicosi alfieri forzisti: il premio di maggioranza al singolo partito, anziché alla coalizione di partiti, favorirebbe il nefasto affermarsi del PD come “partito della nazione”, la mostruosa creatura politica che Renzi, sull’onda del successo elettorale alle Europee, avrebbe in mente per vampirizzare Forza Italia, succhiarne il sangue politico e trasferirne subdolamente elettorato e quadri centristi dentro un PD snaturato e neo-centrista, rinata araba fenice neo-democristiana.

Se, pur da contrapposti fronti interni, per Brunetta e Fitto il “partito della nazione” significa – in teoria – la morte del nobile sogno di rivoluzione liberale in Italia e – in pratica – la nascita del pedestre incubo di scomparsa dei posti di governo-sottogoverno; per la Bindi il pericolo denunciato è l’esatto contrario: la bulimia del potere che, già incipiente, finirebbe per ammorbare ampiamente il PD, pervertendolo e svuotandolo d’ogni vera identità ideale, fatto preda di clientele, corruttele e lobby d’ogni genere, come a suo tempo avvenuto alla Dc contro le ottime intenzioni dei padri fondatori. La Dc partito-pigliatutto, “partito della nazione” dal Secondo Dopoguerra ai primi Anni Novanta, quelli della cosiddetta “Prima Repubblica” ante-caduta del Muro di Berlino, poteva “vincere facile” per l’esclusione preconcetta del Pci da ogni possibilità di conquista del potere, senza rischi di punizioni elettorali per malgoverno grazie al fattore “K” (“kommunist”), e questo ne ha favorito la degenerazione.

Per restare fedele ai valori e agli interessi sociali del centro-sinistra, secondo Rosy il PD deve evitare la tentazione di partito-pigliatutto, troppo forte per temere gli avversari e quindi incline allo strapotere: poiché un sistema bipartitico è oggi impraticabile a causa della debolezza elettorale della destra e dell’incapacità delle sue forze di strutturarsi come partito unitario per vincere, occorre che il nuovo meccanismo elettorale promuova non il bipartitismo del premio di lista ma il bipolarismo del premio di coalizione, in modo che anche la destra abbia la possibilità di guadagnare la vittoria, costringendo il PD a restare sempre sulla corda e a praticare buone politiche di governo se vorrà mantenere il consenso elettorale e quindi il potere. Insomma, il PD deve mettersi nell’ottica di “vincere difficile” se non vuole cadere in peccato mortale e perdere se stesso.

 Un ragionamento decisamente spassionato e “sportivo”, autentico “fair play” delle regole del gioco elettorale, ma poco convincente, e forse più malizioso e strumentale di quanto appaia a prima vista. Il bipolarismo in Italia non è una novità: governi di alternanza tra coalizioni di centro-destra e di centro-sinistra, nettamente contrapposte, si sono regolarmente avvicendati negli ultimi vent’anni di… “Seconda Repubblica”, ma non sono stati esenti né dagli scandali né dai fallimenti che avevano caratterizzato l’inesorabile perversione ideale e declino pratico della DC nella Prima Repubblica.

E i variopinti e sfaccettati governi di coalizione della Seconda Repubblica – nel centro-destra: dal Polo delle Libertà con tre partiti, alla Casa delle Libertà con otto partiti dentro e sette alleati fuori, al Popolo della Libertà con sette partiti dentro e l’UDC alleata; nel centro-sinistra: dall’Ulivo con tredici partiti (più Rc “desistente”), all’Unione con diciannove partiti, alla “foto di Vasto” di PD, SEL e Italia dei Valori – sono sempre stati puniti dagli elettori a fine mandato, a sigillo indelebile d’insuccesso, e si sono voluti giustificare ogni volta, a destra e a sinistra, con gli errori, le malefatte e il potere di ricatto dei partiti minori; mentre la presenza di un’opposizione credibile, in grado prendere a sua volta il potere e quindi minacciosa, non ha mai garantito vera ed efficiente governabilità. Insomma, il bipolarismo è comunque fallito: non è dunque meglio puntare sul “bipartitismo” dell’Italicum? Che per giunta è “tendenziale” e senza rischi di decurtazione democratica, perché i partitini continueranno ad avere “diritto di tribuna” – basterà il 3% dei voti per entrare in Parlamento – ma perdendo il potere di veto, perché non dovranno essere a forza inseriti in coalizione.

Rosy Bindi è, probabilmente, condizionata dalla lunga carriera politica e dall’investimento ideale sull’esperienza passata. Ma a voler essere maliziosi, emerge anche un sospetto: se passa il bipartitismo dell’Italicum, un’eventuale uscita dal partito della minoranza PD per potenziare l’area di SEL e della sinistra radicale (Landini, Rifondazione eccetera) non sarebbe più decisiva per la maggioranza di governo, e il PD potrebbe governare facendone a meno. Quindi la minoranza PD sarebbe costretta a restare nel Partito democratico per non divenire del tutto ininfluente e perdere ogni briciola di potere, in contrasto con quella prospettiva di separazione che la Bindi ha presagito come probabile, se non inevitabile, nelle stesse apparizioni televisive. Se aggiungiamo che la disputa sulle preferenze sembra essere la battaglia finale per sopravvivere come corrente organizzata, da parte di quegli stessi esponenti della minoranza PD che quando erano maggioranza le detestavano come fattori di corruzione e divisione, il quadro è completo. A pensar male …

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login