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Spettacoli

AI TEMPI DI MINA

MANIGLIO BOTTI - 08/05/2015

mina“A Mina – concludeva in un suo libro il giornalista Nino Romano – non dobbiamo chiedere nulla. Lasciamola cantare”. Proprio così, a quella che è stata nel mondo della musica e della canzonetta la più grande artista dell’ultimo mezzo secolo, non ci sono particolari domande da fare. Se non ripercorrere le strade del ricordo, riascoltare – se si vuole – i suoi dischi in vinile, riandare a cercare le sue straordinarie performance su youtube, acquistare i suoi cd, vecchi e nuovi.

Il caso di Mina – la famosa Tigre di Cremona, secondo quelle pseudo-denominazioni zoofile una volta di moda: la Pantera di Goro (Milva); l’Aquila di Ligonchio (Iva Zanicchi)… – nasce tutto dal suo ritiro dalla scena. Attenzione, non il ritiro tout court dal mondo della canzone, una scomparsa nella più assoluta privacy alla Greta Garbo, perché poi Mina è sempre stata presente con i suoi dischi e con i suoi cd, con le sue copertine originali e trasgressive, e anche con i suoi contributi giornalistici (famosa la rubrìca “Secondo me” sulla Stampa di Torino), ma la sparizione della sua immagine pubblica e soprattutto tele-visiva: gli occhioni sgranati, le minigonne “impossibili”, l’euforia, prima ancora delle canzoni sempre potenti, interpretate con sguardi e volteggiare di mani, anche quelle dai toni più contenuti ma sempre coinvolgenti.

I due fatti – la storia e l’addio – sono stati ricordati poco più di un mese fa, in occasione del suo settantacinquesimo compleanno. Lei, la Tigre, che adesso è una “tranquilla” signora di Lugano… Ed è stato ricordato come anche il congedo, quasi si trattasse di un cerchio che si chiudeva nell’arco di vent’anni, dal 1958 al 1978, fosse avvenuto nello stesso luogo: la Bussola di Viareggio, uno dei templi dello spettacolo canzonettistico e delle notti d’estate italiane.

Per lungo tempo – e anche adesso che i due artisti veleggiano verso gli ottanta – Mina è stata accostata ad Adriano Celentano, da quando lei si faceva chiamare Baby Gate e lui era un grossolano “imitatore” dell’attore americano Jerry Lewis, prima ancora di diventare il Molleggiato; i due “urlatori” della fine degli anni Cinquanta. Ma a ben vedere, sebbene l’ “evoluzione” artistica dei personaggi sia stata – e lo è stata – diversa, e per quanto a un certo punto della loro carriera si siano anche incrociati da “vecchi” amici protagonisti (il disco Mina Celentano, 1988), i due sono rimasti nell’immaginario per il loro “passato storico” più che per lo “stato presente”: Adriano come l’“inventore” dei pantaloni bicolori e a zampa d’elefante; il capo del Clan, quello di Stai lontana da me, del Problema più importante e poi di Una carezza in un pugno; Mina la cantante guida della trasmissione televisiva Studio uno, il suo ritorno – e non eravamo ancora nella metà degli anni Sessanta – con l’Uomo per me, la cantante che poi nel 1965 fa il record del primo posto in classifica nella Hit parade con la canzone Un anno d’amore: sedici settimane.

Insomma, ritiro o continue evoluzioni, a seconda, hanno sempre fatto aggio nel ricordo e nelle celebrazioni i… favolosi anni Sessanta. E non è nemmeno un caso che, qualche tempo fa, uno storico ed erudito conoscitore della canzonetta, il giornalista Marino Bartoletti, avesse caldeggiato una rivisitazione di Mina in Tv, o alla Bussola di Viareggio, che canta una sorta di inno: Tarattatà: 1966.

Il ricordo, dunque, si cristallizza nel tempo e in un’epoca. Si ferma. Vale per la grande Mina, assisa nel suo buen retiro di Lugano; per Adriano Celentano prodigo… ricevente nei suoi spettacoli teatrali o televisivi; per Gianni Morandi, il ragazzo di Monghidoro anch’egli dominatore di quelle calde e lontane estati, e poi showman al Festival di Sanremo. E vale anche per il “misterioso” Lucio Battisti – tutti, si vorrebbe dire, intersecantisi nell’arte – andatosene per sempre quando ancora non solo i settanta, ma nemmeno i sessant’anni erano suonati. “Partito po così d’improvviso – ha scritto l’amico Mogol e cantato Celentano – / che non non ho avuto il tempo di salutare / istante breve ma ancora più breve / se c’è una luce che trafigge il tuo cuore…”.

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