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Opinioni

SCUOLA E SVILUPPO SOCIETARIO

FELICE MAGNANI - 22/05/2015

educazioneLa scuola è uno straordinario bacino di sviluppo educativo e formativo, è il luogo in cui la Costituzione italiana si realizza attraverso una graduale acquisizione di sollecitazioni culturali che hanno come obiettivo finale la creazione di una identità libera, consapevole, individuale e sociale, capace di saper riconoscere autonomamente il senso vero e profondo dei diritti e dei doveri che governano la condizione umana. A scuola l’individuo diventa persona, cittadino, capace d’interagire con quella società che lo accoglie, proponendogli un’infinita serie di proposte esistenziali.

È in questa ascesa che si formano la coscienza individuale e quella collettiva, capaci di approdare in uno spazio sempre più allargato della dimensione umana. Se molto tempo fa la scuola era all’interno di un contenitore che ne circoscriveva i confini, oggi ha assunto una valenza molto più ampia, dove il particolare esiste e si rafforza in una prospettiva educativa che si muove tra usi e costumi molto diversi e lontani tra loro. La scuola assorbe, riceve e rielabora una somma di culture che cercano spazi di convivenza dedicati al confronto, al dialogo, alla mediazione, alla capacità di unire e di rielaborare senza costringere alcuno a perdere la propria identità, la capacità di diventare soggetto di progresso collettivo. La scuola non può chiudersi, essere di natura suppletiva, assistenziale, deve avere la capacità di agire, di consolidare e potenziare una dimensione più grande della dignità umana, dove i soggettivismi rimangono, ma come fautori di coscienza universale e dove le materie d’insegnamento diventano realmente il volano di una nuova civiltà, la civiltà di uomini e donne che vivono e operano con ampi spazi di relazione e di comprensioni condivise.

È anche per questo che s’impone d’ investigare le caratterizzazioni degli autori e delle discipline, la loro proprietà di costruire mondi più articolati, fondati su forme cognitive, educative e legislative di ampio respiro. I tempi moderni impongono la necessità di rivedere la scuola e i suoi contenuti, le sue finalità, le sue modalità attuative, la sua capacità di saper corrispondere in modo adeguato ai diritti e ai doveri di tutti i cittadini. A fronte di una cultura dell’arretramento o dei particolarismi coercitivi, si profila quella della valorizzazione dell’uomo e della donna in una dimensione dove si richiedono spazi più ampi da corrispondere ai bisogni formativi ed educativi delle persone. Si chiede quindi un passo avanti nell’analisi e nella rielaborazione, nella capacità di saper evincere da ciascuno ciò che aiuta e serve per sentirsi capito, integrato e realizzato.

Due sono le possibilità: rinchiudersi o aprirsi, esercitare una cultura del rilancio e della proiezione o una cultura del riformismo nazionale vecchio stampo, basato sull’introduzione di qualche novità che dia l’apparenza del nuovo. Rimanere appollaiati o cercare di trasformare la bellezza in un rafforzamento cosmico della civiltà dell’amore educativo. È in questo conflitto di sistemi e idee a confronto che la scuola deve trovare risposte unitarie, perché la realtà abbia una rappresentanza sicura, in una condizione rassicurante per coloro che la ricevono.

Dunque non si tratta di sminuire o peggio ancora abolire autori o discipline della cultura nazionale, ma di potenziare il respiro della cultura italiana, facendolo arrivare alle giovani generazioni in una forma nuova, più aperta, più rispettosa del patrimonio di ciascuna persona, di dimostrare quanto importante sia tutto ciò nel quadro di una spinta intellettuale che va oltre i localismi e la rigidità di un sistema in molti casi avvitato su se stesso. Il problema è come corrispondere a un modello educativo e culturale che rifletta la lenta ma inesorabile trasformazione dei massimi sistemi nazionali in proiezioni sovranazionali.

Come dovrebbe essere la scuola del futuro? Somma di entità diverse ma subordinate o entità libere a confronto che valorizzino ampi spazi di crescita comune?

È ancora possibile nella condizione odierna parlare di primati o di subordinazioni, di cultura avanzate o di culture retrograde, di discipline primarie o di discipline secondarie? È ancora umanamente ammissibile che nel mondo ci siano cittadini di serie A e cittadini di serie B? Cittadini che hanno tutto ed altri che non hanno niente? Fermo restando che la cultura, anche quella scolastica abbia un punto di aggregazione e uno di rilancio, un punto di arrivo e uno di partenza.

È umanamente accettabile che la cultura resti paralizzata in élite che ne facciano uso personale, senza corrispondere la dimensione di una cultura dell’ emancipazione dell’essere umano, fuori dagli schemi di una valutazione economico/finanziaria che trasforma gli esseri umani in prodotti da comprare e da vendere? Quale deve essere il principio informativo di una scuola del rilancio?

La scuola come l’abbiamo vissuta è stata in molti casi vittima di eccessi di subalternità umane e culturali vincolati alla politica di turno, alla classe sociale, al potere, ha risentito di strumenti e metodi strettamente legati ad una visione “autoritaria” della condizione umana. In alcuni casi ci siamo resi conto di quanto fosse parziale il concetto di cultura sociale, la forza sociale stessa della cultura, lasciata in molti casi alla mercé di rappresentanti impegnati in una visione del tutto personalistica. Una scuola che ha risentito moltissimo di fonti che hanno promosso valori di “classe”, fuori da quella visione social popolare tipica della filosofia delle cose umane. In molti casi si è anteposto il privato al pubblico, rafforzando divisionismi e frazionamenti imposti alla vocazione umana del conoscere e del sapere. Da una parte i fautori di una cultura fortemente attrezzata per la formazione del potere, dall’altra percorsi studiati per mantenere il popolo in una sorta di limbo mediatico. Le riforme non sono mai state all’interno di una visione veramente democratica della cultura societaria.

La scuola chiede di diventare realmente il luogo dell’evoluzione umana, dello studio, della ricerca, del corpo e della mente, della promozione sociale, chiede soprattutto d’ interpretare il senso democratico di una storia che l’ha vista per troppo tempo ancorata a differenze e diversità. In questo suo nuovo percorso chiede di poter fruire di luoghi dove la cultura sia anche spazio, ambiente, psicologia applicata, luogo ideale in cui diventi possibile trasferire a tutti i grandi valori che sono stati alla base della nostra credibilità culturale nel mondo in un ambito direttamente proporzionale alla vocazione cognitiva del nostro paese in rapporto ad un nuovo e più ampio impegno sul fronte del diritto privato e di quello pubblico.

La “buona scuola” presenta istanze condivisibili, ma non è sufficiente pensare che tutto si risolva sempre e soltanto con un’azione di potere, se non è chiaro il valore stesso del potere. Uno dei grandi problemi della nostra cultura politica ha riguardato in primis la gestione del potere come forma di gestione della cosa pubblica. Lo abbiamo constatato nella disattenzione che i vari governi della nostra repubblica hanno dimostrato nei confronti della scuola, privata di una visione veramente umana, libera e culturale, capace di incidere nella vita delle persone e nella crescita di una civiltà sempre più capace di cogliere il senso dell’eredità e della testimonianza. La nostra democrazia è stata fallimentare proprio là dove avrebbe dovuto vedere lontano, sviluppare forme sostenibili di libertà da applicare all’armonia di una crescita morale, sociale, culturale e materiale della società.

Ci si è preoccupati più della gestione del potere di parte, piuttosto di lavorare con impegno e determinazione intorno alla ricerca di nuove vie da percorrere per rendere più solido e attuale l’impianto dell’istruzione pubblica nel nostro paese. La scuola non è mai stata al centro dell’interesse della politica, è sempre stata subordinata al gioco delle parti, a riforme politiche senza capo né coda che hanno dissacrato quello che Gentile aveva ben compreso e attuato molto tempo prima, dimostrando che l’intelligenza delle persone va ben oltre la storia e il tempo. Democrazia non è pianificazione o limitazione di scelta, ma apertura consapevole verso l’universalità di un sapere capace di guardare lontano, di dare il senso di un’appartenenza che va oltre i confini nazionali e che sa trarre il meglio da ciascuno creando un’armonia delle relazioni in ogni campo.

Non ci siamo resi conto che le scuole stavano crollando sulla testa dei nostri ragazzi, non abbiamo visto la loro inquietudine, la loro voglia di essere protagonisti e non vittime dell’indifferenza umana. Forse non ci siamo mai chiesti il perché ciclicamente la scuola diventi il problema di una società, lo diventi al punto di spingere i giovani nelle vie e nelle piazze a manifestare la loro volontà, il loro desiderio di vivere una dimensione nuova, più aperta, più rispettosa delle loro personalità. Forse abbiamo valutato troppo l’ordine pubblico e poco l’ordine delle cose umane, quelle che si rivolgono in primis al cuore e alla mente delle persone, avremmo avuto più bisogno di bravi educatori che non di deputati e senatori provenienti dal nulla cosmico della vita comune. Oggi ci ritroviamo con l’esigenza di ricorrere al potere per rimettere ordine in un mare di disordine, ma dobbiamo ricordarci che il potere non è l’esercizio d’immagine di una destra o di una sinistra, bensì la capacità tutta umana e razionale di saper vedere e interpretare i bisogni, quelli veri, della gente che ci sta vicino, che cerca la nostra approvazione, il nostro buon senso, la nostra solidarietà.

Dunque una scuola, per essere buona, deve essere convinta della sua identità, di che cosa rappresenti realmente nella vita delle persone, in quella individuale e in quella collettiva. Il buono non è collegabile solo a un preside manager o alla invenzione di éscamotage per un controllo politico della situazione, ma alla capacità di saper leggere fino in fondo nel cuore delle aspettative umane, in particolare quelle di un mondo giovanile che è sempre sottovalutato, come se si trattasse di un esercito da formare e da mandare al fronte a combattere una battaglia impari.

La buona scuola nasce da una visione ampia e solidale, ma soprattutto dalla volontà di saper rispondere alla gestione della ricchezza umana che alberga in ciascuno di noi e che ha bisogno di incontrare la certezza di potersi realizzare. Dunque vediamo di non cadere nella necessità di dimostrare, di far vedere, di gettare fumo negli occhi, ma andiamo a vedere realmente là dove il pensiero diventa realtà di che cosa c’è realmente bisogno, parlando con le persone, ma non per intenzioni di carattere elettorale. Un riforma vera e profonda ha bisogno di tempo, di amore e di capacità di saper vedere nell’animo della gente, soprattutto di quella che ci osserva per capire quale sarà il nostro atteggiamento nei suoi confronti.

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