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Cultura

VARESE TRA STORIA E CRONACA

MANIGLIO BOTTI - 12/06/2015

spartà

Gianni Spartà

È davvero un’altra storia, quella che Gianni Spartà racconta a proposito di quanto avvenuto a Varese e in provincia negli ultimi venticinque, trent’anni o è la storia di sempre, che continua, quella di cui aveva già cominciato a parlare? Il quesito è meno banale di quanto possa apparire, perché nel nuovo libro del giornalista “varesino di Messina” – Tutta un’altra storia, di Pietro Macchione editore – si riprendono alcuni argomenti descritti nel precedente (Questa è la storia, editore Nicolini, 1991); si riprendono, si sviluppano, si approfondiscono. In un certo senso si adeguano al tempo, che corre via veloce. Ma non senza che non “accada mai niente”. Perché a Varese e nella sua provincia fatti ne accadono eccome, e dunque storie da raccontare, come del resto in tutte le altre città d’Italia, tali però da rivelarsi molto importanti, degni quasi sempre di suscitare l’interesse nazionale e talvolta anche internazionale.

Come per esempio la nascita della Lega lombarda-Lega Nord e di conseguenza la parabola del suo mentore e fondatore, quell’Umberto Bossi che ai giorni nostri, dopo avere a lungo spadroneggiato nella politica del Nord d’Italia, ma anche romana, assiste un po’ mesto e in disparte le sortite del suo successore milanese, il più giovane Matteo Salvini.

L’osservatorio privilegiato di Gianni Spartà è il giornale quotidiano La Prealpina, dov’è stato cronista per una quarantina d’anni (e a lungo cronista giudiziario). Un paragrafo del libro è dedicato proprio al giornale, che quest’anno compirà centoventisette anni – una storia ancora più lunga, passata attraverso due guerre mondiali, il boom economico, la crisi e la nascita della provincia, di cui il giornale stesso e il suo direttore fondatore, Giovanni Bagaini, s’era fatto promotore –, un legame durevolissimo con il territorio, diremmo quasi una simbiosi intellettuale e culturale che ancora oggi si perfeziona ogni mattino che il buon Dio manda sulla terra.

Tornando a Umberto Bossi, il Senatür, che però non è di Varese città ma di Cassano Magnago, e la residenza attuale è di Gemonio, precisazioni non inutili, forse, a capire il personaggio e il Movimento da lui creato, egli è senza dubbio il principale protagonista, politico o no, della storia varesina ultima e recente, o meglio del Varesotto. E non accidentalmente lo scrittore, storico e giornalista Roberto Gervaso, che ha redatto la prefazione al nuovo libro di Spartà, ha dedicato buona parte del suo scritto a Umberto Bossi.

Ma inevitabilmente nel libro di Gianni Spartà c’è molto di più della storia della Lega e di Bossi. C’è la storia di quell’imprenditorialità che ha fatto di Varese quasi un suo caratteristico e preciso luogo di origine con Giovanni Borghi sempre sullo sfondo, il Cumenda della Ignis e re degli anni Sessanta italiani, cui pure Gianni, qualche anno fa, ha dedicato un altro bel libro; ci sono i “fatti di nera”, immancabili, che in un certo senso si legano al libro precedente: i sequestri di persona, le operazioni della ‘ndrangheta, i delitti, storie, episodi anche sconvolgenti e terribili che affondano la propria origine nei più tenebrosi anfratti dell’animo umano, come la “storia delle belve di Satana”; ci sono personaggi vecchi e nuovi (il professor Salvatore Furia, il famoso meteorologo del Gazzettino Padano, su tutti: anch’egli un non varesino, perché era siciliano, ma più varesino di tutti gli altri), insomma i veri personaggi di Varese che la storia di Varese l’hanno scritta ogni giorno con il loro impegno e con il loro lavoro.

Di tutto e di tutti Gianni Spartà è stato un attento testimone, un curioso e puntuale cronista. La conclusione è che Varese non è – o forse non lo è più – quel “deserto attrezzato”, quel buen retiro di cui parlava il grande Indro Montanelli nelle sue scorribande giornalistiche. Ma un luogo – come ogni luogo del mondo – dove davvero può accadere di tutto, perché è sempre importante e interessante da raccontare quanto l’uomo inventi e decida di fare, nel bene e nel male. E il punto adesso non è quello di mettersi di nuovo al lavoro per raccontare della “storia accaduta” a Varese. Ma di pensare a quella che potrà accadere.

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