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Attualità

IL DON CHE VOLA

GIANNI SPARTA' - 19/06/2015

don adrianoAgli astronauti solevano domandare, una volta rientrati alla base, se nelle loro orbite avessero incontrato Dio. “Né lui né gli angeli”, fu la celebre risposta del russo Gagarin che aveva volato per la prima volta attorno alla Terra. Frank Borman, comandante dell’Apollo 8, diede un’altra interpretazione: “Neppure io l’ho incontrato. E tuttavia, guardando sotto i miei occhi, ho avuto la prova che c’è”. Punti di vista: l’americano, rispetto al collega sovietico, era andato oltre, spingendosi verso la Luna.

Nessuno oserà mai fare domande simili a un sacerdote aviatore. Ma se costui dovesse essere don Adriano Sandri, storico parroco di Velate, appassionato pilota di aerei e di alianti, siamo sicuri ch’egli si fermerebbe sui gradini della sua chiesa intitolata a Santo Stefano martire e comincerebbe a raccontare pressappoco questa parabola: l’uomo dice d’aver conquistato il proprio destino, di non aver bisogno di riconoscersi in un ente superiore. È convinto di essere lui a fare la storia. Poi scopre che molte vittorie si sono dimostrate sconfitte, molti trionfi umiliazioni. Ieri e oggi. Dove cercare la fede? In ciò che ci avvolge, nel Creato. E siamo sicuri che, dopo il preambolo, il “don” comincerebbe a descriverci il Monte Rosa superbo avvistato cento volte davanti all’elica di un Piper diretto a Nord o l’osservatorio in cima al Campo dei Fiori attorno al quale succede di girare per ore, spinti dalle correnti ascensionali, alla guida di un velivolo senza motore, più leggero dell’aria, che bisogna riportare sulla pista di Calcinate avendo perizia e pazienza.

Eccolo Dio: sta dove ha avuto la fortuna di incontrarlo tante volte un prete che ha preso il primo brevetto di volo (1963) due anni prima dei voti sacerdotali (1965). Può succedere dalle nostre parti. Facile nascere o crescere con le ali nel sangue avendo conosciuto Plinio Rovesti, insigne aviatore e celebrato meteorologo, com’è accaduto al “casbenatt” don Adriano. Più facile, consacrando la propria vita a Dio, compulsarne la presenza vagando nell’alto dei cieli, appena un po’ più giù.

Congratulazioni don Adriano e questa volta non glielo dicono i giurati di una competizione aereonautica, ma le tante pecorelle, quante smarrite e poi ritrovate, che Lei ha guidato quaggiù in questi anni. Cinquanta per la precisione dalla prima messa, da una scelta dello Spirito santo che si è rivelata feconda.

Come ringraziare un sacerdote che è stato anche insegnante di scienze al seminario di Venegono; che ha fatto di una piccola parrocchia un luogo di incontri internazionali, con canonici di Notre Dame ed eredi di imperatori asburgici; che ha aperto le porte della sua chiesa a filosofi, musicisti, attori, registi; che ha convinto, senza sforzo, grandi firme dello spettacolo popolare come i Festi, abituati a organizzare eventi per i papi e le olimpiadi, ad attrezzare il circo della loro arte nelle vie di Velate? Come mostrare riconoscenza, dicevamo, a un punto di riferimento umano e spirituale per migliaia di persone?

Mettiamola così: don Adriano, a sua insaputa, ha fatto crescere il senso di comunità di un borgo, ben abitato e forse proprio per questo difficile da aggregare. Restando nell’ombra come un varesino, si è rivelato efficiente come un giapponese. Ha trasmesso valori che speriamo gli siano tornati moltiplicati, come i pani e i pesci.

Chi scrive queste note ricorda don Adriano negli anni ’60 all’oratorio di Porto Ceresio, quasi Svizzera, freddo cane d’inverno, parrocchia affidata a un sacerdote, don Pietro Ferrari, che intuendo le direttive del Concilio aveva restaurato la chiesa prevedendone l’altare al centro della navata.

Il giovane coadiutore arrivava con la macchina del film, otto e super otto, e proiettava “Marcellino pane e vino” a ragazzi di paese che come unico svago collettivo avevano la partita di pallone in un campo di patate con due porte sgangherate ai lati e fango, tanto fango in mezzo alle due aree di rigore. Con don Adriano ci saremmo rivisti adulti a Velate.

Non potevo immaginarlo, allora, e nemmeno potevo prevedere che mio figlio Giacomo, andato a vivere a Pisa, avrebbe chiesto a don Adriano di raggiungerlo sotto un’altra torre, pendente, per sposarlo con Valeria, siciliana, anzi messinese come me.

Quanti ricordi, “don”! Grazie per averci fatto conoscere padre Adelio, “Marco Polo della fede”, coraggioso missionario partito da Velate e finito a Hong Kong quando i cinesi non facevano prigionieri tra chi predicava il Vangelo. Grazie per un altro importante personaggio del borgo che fu caro a Guttuso: padre Alberto Zamberletti, anch’egli velatese, anch’egli missionario in Guinea Bissau e grande medico: ha avuto un premio dalla prestigiosa Scuola salernitana per meriti scientifici.

Non dimentico una notte di Natale di tanti anni fa: prima della messa, il parroco chiamò sull’altare Salvatore Furia, l’amato Uomo delle Stelle, il grande divulgatore di cose terrene e spirituali. Egli ci parlò dell’Infinito con i suoi limiti per la scienza e lo paragonò all’Eterno con il suo mistero per la fede.

Fuori nevicava e il bravo Antonio aveva acceso un falò nel cortile dell’oratorio. Che notte magica.

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