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Politica

PRIMARIE DI COALIZIONE

FRANCESCO SPATOLA - 19/06/2015

primarie

Primarie a Palermo

La questione delle elezioni cosiddette “primarie” per la scelta dei candidati di partito a elezioni nei vari livelli di governo è diventata di attualità a Varese in vista delle elezioni comunali 2016 e del clamore polemico suscitato da molteplici preannunci di auto-candidature nel PD, con conseguente ritiro del parlamentare più autorevole del centrosinistra varesino, Daniele Marantelli. Clamore che costituisce un interessante precedente per tutti i partiti che vogliano adottare un tale meccanismo di selezione della dirigenza politico-istituzionale, chiedendosi se ne valga la pena come bilancio tra costi e benefici. La conclusione, s’è già scritto, è che le “primarie vere” se ben fatte hanno belle potenzialità anche a Varese: di coinvolgimento popolare e di scelta dei migliori, se i migliori decidono di entrare in gioco.

Ma con quali programmi? La base programmatica non può che essere comune a tutti i candidati, altrimenti le primarie diventano una barzelletta, un mediocre talent show di provincia o parrocchia. Ma, nemmeno, il programma-base deve essere talmente uniforme da non ammettere declinazioni, adeguamenti, arricchimenti, integrazioni e approfondimenti di dettaglio, varianti in alcune scelte di priorità, a seconda delle diverse sensibilità personali e dei diversi mondi – economico-sociali, culturali, generazionali, territoriali, relazionali – di provenienza e appartenenza dei candidati. Altrimenti – in un mondo che non è più (se mai è stato, specie a livello locale) rigidamente polarizzato tra ideologie, classi, ceti contrapposti – mancherebbe la possibilità di agganciare le varie componenti dell’elettorato e di giungere a un programma finale sì organico e coerente nella struttura di fondo, ma anche ricco, composito, in grado di mediare tra culture ed interessi diversi, come è necessario in un contesto sociale ed elettorale pluralistico.

Se si enfatizzasse troppo – come ha fatto qualche commentatore sui social network – il rischio di incongruenza tra selezione dei candidati alle primarie e base programmatica diversificata, al punto da pretendere la blindatura del programma in anticipo e lo svolgimento delle primarie stesse come verifica di miglior corrispondenza dei candidati al programma, non solo si snaturerebbe un esercizio di democrazia popolare, trasformandolo razionalisticamente in una specie di verifica scolastica, come quando il professore dà il miglior voto a chi ha comunicato (o eseguito) meglio il “programma” che tutti dovevano studiare. Ma si irrigidirebbe anche a priori il quadro delle alleanze, al punto da rendere impraticabili per principio le “primarie di coalizione”.

È questo un punto delicato della situazione varesina, per qualunque partito ma in particolare per il centrosinistra ed il Partito democratico, che dalla seconda Repubblica non ha mai occupato da solo l’area di sinistra, grazie anche alla frenesia frazionista che ha sempre caratterizzato quest’area, sia in Italia sia a Varese: a Pds, Psi e Partito popolare prima, Ds e Margherita poi, e infine al PD si sono sempre affiancati alleati-concorrenti di sinistra, più o meno radicali e più o meno scomodi: da Rifondazione comunista al Partito comunista d’Italia, ai Comunisti italiani, ai Radicali e Rosa nel pugno, ai Verdi di varie coloriture, fino a Italia dei valori e SEL. Senza contare le varie liste civiche, a Varese spesso di destra o centro, ma da ultimo di “rifondazione civica” con forte impegno locale, ricche di aderenti con storie politiche variegate ma – almeno nel caso del gruppo più strutturato e dotato di potenziale, Varese 2.0 – prevalentemente di ex-sinistra (seppure liberal), e comunque programmaticamente e culturalmente orientate da un pensiero di neo-sinistra.

La propensione a una alleanza strutturale con liste di sinistra radicale e liste civiche orientate a sinistra è quindi una forte tentazione, probabilmente irresistibile per il PD varesino, e lo potrebbe indurre ad aprire le primarie anche ai potenziali alleati, i cui leader potrebbero candidarsi in competizione con i Democratici doc. Ma per il PD è anche conveniente? La convergenza su programmi comuni a partire da ideali e valori vicini e affini è non solo giusta ma inevitabile, come la forza centripeta che fa ruotare i satelliti intorno al pianeta a massa maggiore. Ma le condizioni di convergenza dipendono in toto dal meccanismo elettorale nelle successive elezioni comunali “vere”: nei principali comuni vige un sistema maggioritario a doppio turno, tale per cui al PD non è affatto indispensabile arrivare primo col 50,1% per vincere al primo turno, ma può bastargli arrivare secondo e vincere al ballottaggio. Al ballottaggio, infatti, gli elettori a sinistra del PD, di sinistra radicale o di “rifondazione civica”, potrebbero decidere di votare PD come partito più vicino o meno lontano, senza alcun bisogno che la lista civica o di sinistra radicale da loro preferita appoggi espressamente il PD. Se invece il PD avesse paura che gli elettori civici o di sinistra radicale non lo votino al ballottaggio, allora deve rassegnarsi all’alleanza con le liste vicine, forte o attenuata.

L’alleanza è “forte” se stretta fin dall’inizio, condividendo con le liste vicine già sulla scheda del primo turno il nome del candidato sindaco; “attenuata” lo è prima del ballottaggio attraverso il cosiddetto “apparentamento”, con il candidato PD sulla scheda di ballottaggio condiviso con loro. Con quali vantaggi/svantaggi e conseguenze?

La vittoria con condivisione del candidato sindaco porta a distribuire il premio di maggioranza sia a favore del partito che esprime il sindaco sia a favore dei partiti alleati, tanto se l’alleanza è stata stipulata sin dal primo turno quanto se è intervenuto solo l’apparentamento ante-ballottaggio. Il premio fa sì che la coalizione vincente, o al primo turno o al ballottaggio, riceva il 60% dei seggi (a Varese: 19 su 32 più il sindaco), suddivisi proporzionalmente tra i partiti aderenti. Va anche tenuto conto che la legge prevede la soglia minima del 3% per avere seggi, e alle ultime elezioni del 2011 il minimo di voti fu di 1.066 sui 35.546 votanti del primo turno, con ben dieci partitini su diciotto liste partecipanti che non ce la fecero ad ottenere rappresentanti in Consiglio.

Ovviamente, l’alleanza comporta anche laboriose contrattazioni – ferree se già al primo turno, più soft ma anche più nervose se prima del ballottaggio – sia sul dettaglio del programma, sia sullo spoil system, ossia sulla distribuzione degli incarichi ai vari livelli di governo: assessori, presidenti di commissione consiliare, nomine negli enti partecipati e controllati dal Comune ecc. Per gli aderenti minori è un indubbio vantaggio, perché guadagnano influenza e potere; per gli aderenti maggiori è uno svantaggio sopportato a denti stretti, perché devono condividere e distribuire.

 Quali prospettive nel caso varesino? Il PD avrebbe tutto da perdere ad allearsi prima del voto, se da solo continuasse a viaggiare sui risultati delle elezioni Europee del 2014 con quel miracoloso 42%, che affermava la famosa “vocazione maggioritaria” di veltroniana memoria. Tutt’altra cosa se retrocedesse verso il consolidato storico del 30% del 2011 (quando la candidata Oprandi ottenne il ballottaggio solo grazie alla frammentazione del centro-destra, con liste civiche d’area decisive nell’impedire a Fontana la consueta vittoria al primo turno); o se anche si attestasse sul massimo storico del 35% del 2006 (candidatura istituzionale di Conte, che però non giunse al ballottaggio perché il centro-destra restò unito dietro a Fontana).

Non ci sono dati varesini solidi del 2015, perché le recenti elezioni regionali, che hanno segnato un arretramento PD, non hanno toccato Varese; mentre le recenti comunali nel Varesotto danno indicazioni controverse, con la vittoria travolgente al primo turno nella riconquistata Laveno Mombello e facile al ballottaggio a Somma Lombardo, ma anche con una sconfitta cocente al ballottaggio perdendo Saronno (seppure dovendo cambiare il sindaco uscente).

Altrettanto controversi i risultati ai ballottaggi comunali nelle altre parti d’Italia, con la perdita di Venezia pur avendo candidato un famoso e integerrimo giudice anti-renziano, di Matera nonostante l’ascesa a città europea della cultura, e di Arezzo nonostante il grande appeal nazional-popolare dell’aretina ministra Boschi; la conferma al PD di Lecco e Macerata, la riconquista di Mantova, Emiliano che s’allarga a vincere Trani, Nuoro che passa dal centrosinistra ortodosso alla sinistra scissionista e civica, mentre i civici di destra sconfiggono clamorosamente il PD a Fermo e la Lega si prende Rovigo anche dopo il commissariamento della precedente amministrazione di centrodestra. Registrando però un calo generalizzato in Lombardia, e la perdita di Vigevano benché in appoggio a una forte lista civica.

Allearsi può servire per vincere, ma può anche essere esiziale per governare con efficacia ed efficienza se insorgono forti differenze programmatiche o di spoil system tra l’alleato maggiore – il PD nel caso-tipo in esame – e gli alleati minori, qui sinistra radicale e gruppi civici. Peggio ancora se, nel timore di perdere un’occasione storica e paventando di non saper attrarre gli elettori delusi del centrodestra, il PD decidesse di imbarcare a Varese anche NCD, replicando localmente l’attuale alleanza nazionale, iniziata “d’emergenza” ma forse durevole sino al 2018.

Nonostante l’utilità d’una simile alleanza per governare la nuova Provincia di Varese, non solo farebbe molta fatica a ricomprendere sulla città anche la sinistra radicale e i gruppi civici, altrettanto ed anzi più utili per vincere; ma quand’anche l’ambizione della svolta storica portasse tutti a turarsi il naso per il voto, seguirebbe lo scoperchiamento di un “vaso di Pandora” di contrasti sull’eventuale governo della città. Si pensi ai conflitti sul progetto di rifacimento di piazza Repubblica, caserma, teatro; o allo stesso progetto di parcheggio alla Prima Cappella, così fortemente voluto da Ncd su impulso del suo livello regionale.

A che servirebbe vincere una tantum senza iniziare un ciclo nuovo, di durevole e innovativo buon governo, e spaccarsi subito condannandosi all’immobilismo e perdendo per sempre la faccia davanti ai varesini? Anche a livello locale la democrazia funziona con chiare e nette distinzioni tra le parti: i partiti di centrodestra e di centrosinistra non possono che snaturarsi in alleanze semi-trasversali, comunque contro-natura, e i cittadini hanno tutto da perdere dai minestroni di frutta e verdura, né li prediligono.

Più consona e sperimentata l’alleanza PD-sinistra radicale, se il PD teme di non farcela a catturare al ballottaggio gli elettori Sel e compagnia; così pure per il PD verso i gruppi civici.

Quanto ai gruppi civici in se stessi, qui si parrà la lor nobilitate: avranno il coraggio di correre da soli per coltivare al meglio l’innovazione che sostengono, o preferiranno rinunciare alla scommessa radicale di rinnovamento e cercare un compromesso col PD quale partito meno lontano, utile traghetto verso la compartecipazione al governo della città? Tendenzialmente, la seconda scelta implica anche la partecipazione alle eventuali “primarie di coalizione” e la prima la esclude, a meno che i leader civici puntino davvero a vincerle, giocando sulla molteplicità delle candidature e scommettendo sulla disaffezione degli iscritti e simpatizzanti PD nel partecipare alle primarie.

Quali che siano le scelte degli attori in campo, rimane il fatto che quanto più larga e articolata sia la coalizione, tanto più arduo e rovente sarà il bilancino dello spoil system, da manuale Cencelli in sedicesimo: neo-lottizzazione condita di buone intenzioni. Con rilevanti rischi di enpasse gattopardesca nella realizzazione di qualsiasi programma innovativo, cambiar tutto per non cambiare niente: con tanti appetiti in gioco, temo che resteranno utopistici il taglio dei costi della politica, la restituzione dei poteri democratici al consiglio comunale assoggettandogli sindaco e giunta, lo snellimento efficientistico della Giunta quale interfaccia consiliare e vertice dell’apparato tecnico-amministrativo; ossia, le innovazioni fondamentali per assicurare a Varese la realizzazione del programma. Sarebbe mai possibile ridurre a quattro gli assessori, dargli compensi volontaristici, trasferirne i poteri assoluti al consiglio comunale quale nuovo riferimento per i dirigenti, consacrare il primato della competenza e responsabilità di risultato anziché della fedeltà al partito? Appena chiuse le urne, non si comincerebbe come sempre a intonare il “valzer delle cadreghe”?

E allora, esigenze di chiarezza programmatica, trasparenza democratica ed efficienza innovativa dovrebbero indurre partiti e gruppi civici a rischiare, e a partecipare da soli alle elezioni, senza azzardare compromessi al ribasso in contrattazioni pre-elettorali e limitandosi a indicazioni preferenziali di voto se non partecipino al ballottaggio. Né alleanze né apparentamenti, ma comunicazioni pubbliche limpide sono il meglio che i cittadini possono augurarsi. Quindi, nemmeno prima “primarie di coalizione”, ma partiti che scelgano limpidamente al proprio interno i candidati in piena coerenza con la base programmatica, seppure con la flessibilità creativa necessaria ad allargare la base elettorale tramite “primarie di partito” contendibili e contese: aperte direttamente alla coalizione con i cittadini-elettori e non con loro sempre soggettivi, parziali e arbitrari interpreti indiretti.

Conviene. Ma succederà?

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