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Cultura

IL SETTECENTO DI BIGORIO

ROSALBA FERRERO - 19/06/2015

La pinacoteca Züst di Rancate ha aperto due sale in cui si è apparecchiata una mostra, fortemente voluta dall’associazione Amici del Bigorio, e curata da Edoardo Agustoni e Ivano Proserpi, per consentire a un pubblico vasto di conoscere e ammirare, almeno in parte, i tesori custoditi tra le mura del convento del Bigorio. Una decina le tele presenti, dipinte da alcuni dei protagonisti più prestigiosi della pittura lombarda del Settecento, Giuseppe Antonio Petrini di Carona, Pietro Antonio Magatti di Varese, Giuseppe Antonio Felice Orelli di Locarno, Federico Ferrario, milanese.

Il Convento di Santa Maria Assunta del Bigorio, comune di Capriasca, fondato in Ticino in epoca riformista dai frati cappuccini insieme ad altri importanti complessi conventuali siti a Lugano, Locarno e Faido, è da quasi cinquecento anni centro di attività spirituale e assistenziale. Sfuggito alla soppressione dei complessi religiosi operata tra il 1847 e il 1852 dal Cantone, che ha avuto come conseguenza l’incameramento dei beni e il trasferimento o la dispersione delle opere d’arte, è oggi titolare di una quadreria di notevole valenza artistica, che consta di una settantina di opere, collocabili in un arco temporale che va dal tardo Rinascimento all’Ottocento, un vero e proprio “museo cappuccino” curato da fra Roberto.

Le opere, molte delle quali non ancora state sottoposte a studi o commenti critici, tutte legate per la loro destinazione a edifici religiosi o al collezionismo privato, costituiscono un corpus unitario dal punto di vista tematico, sono una sorta di “Biblia pauperum”.

Nella mostra alla Züst sono esposte alcune tele settecentesche particolarmente significative, un assaggio del patrimonio artistico che si può ammirare nella ricca quadreria. La prima sala ospita opere del Petrini, artista presente anche in altri conventi. È esposta la Madonna del Rosario, in forma ovale, di semplicità preziosa ed essenziale; l’impaginazione è semplice, priva di elementi di ambientazione, i tagli di luce, netti, segnano il panneggio degli abiti e disegnano l’immagine materica della Vergine con la corona del rosario tra le dita; lo sfondo è un cielo corrusco, come nelle tele raffiguranti San Giacomo Maggiore e il Profeta Isaia. Questi due dipinti sono basati su forti contrasti cromatici: la luce abbagliante serve per rendere plasticamente le teste calve e lisce, serve a riempire i volumi delle tuniche; i toni sono freddi, lo sfondo livido e deserto.

Sobrio, scarno il Crocefisso: quasi aggettante da uno sfondo tempestoso e cupo il Cristo si erge isolato in un spazio celeste in-finito rotto da bagliori. Di grande impatto emotivo è il Cristo solo sulla scena, a indicare lo stato di abbandono da parte dell’umanità: pietre affilate e taglienti sono gli unici elementi di un paesaggio desolato che indica metaforicamente la temporanea vittoria della Morte sulla Vita.

Nella seconda sala sono alloggiate opere di sapore tardo barocco di Magatti Ferrari e Orelli. Di sicura efficacia l’opera del Magatti: è una composizione tradizionale con putti e atmosfere evanescenti: le figure sono leggere e aggraziate i panneggi morbidi, la tavolozza ha toni vivaci e luminosi con una gamma cromatica che privilegia tinte soffici, azzurrine rosate verdine, proprie del rococò, o barocchetto italiano.

L’opera dialoga con le due tele del milanese Ferrario, che lavora a Monza, a Lecco, in Brianza, a Mandello sul Lario. La datazione è ormai tardo-barocca: i personaggi riempiono la scena, hanno gestualità forte e sguardi intensi, il colore è steso in modo vaporoso. Le braccia a compasso e il chiaroscuro forte sono due caratteristiche del pittore.

Le due telette dell’Orelli hanno come soggetto rispettivamente Gesù Bambino e San Giovannino; tematica diffusa nel Settecento, quella del Cristo bambino, dormiente su di una Croce e quella del San Giovannino pastore. Orelli usa il chiaroscuro per dare plasticità alle figure; i bimbi hanno i volti arrotondati, le guance paffute, le membra ben tornite e ‘cicciottose’ l’incarnato roseo con una corona di boccoli sulla fronte: paiono l’immagine della salute in un’epoca storica dall’alta mortalità infantile. San Giovannino ha occhi intensi, luminosi, che paiono indicare la penetrazione del mistero da parte del Precursore.

La mostra, curata da Edoardo Agustoni e Ivano Proserpi, è accompagnata da un esauriente, preciso catalogo con saggi sulla storia del convento, sulla formazione della sua quadreria e con le schede delle opere esposte.

  Pinacoteca Züst di Rancate – Tra le mura del Bigorio – Fino al 13 settembre 2015.

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