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Economia

EUROPA/1 ATENE IN SALVO. MA POI?

GIANFRANCO FABI - 26/06/2015

Partenone in restauro

Partenone in restauro

Tutto lascia credere che almeno per qualche mese l’Europa riuscirà a tenere sotto controllo la crisi della Grecia. Nelle ultime settimane si è infatti diffusa la giusta convinzione che i costi di una rottura e quindi di un fallimento di Atene e dell’euro sarebbero per tutti i protagonisti enormemente superiori di quelli necessari per evitare una soluzione traumatica. Può sembrare un paradosso ma in una fase come questa sembra avere più potere il debitore, cioè la Grecia, che non il creditore, cioè le banche europee, compresa la Bce, e le istituzioni internazionali come il Fondo monetario. Il perché è presto detto: l’insolvenza della Grecia, è una eventuale sua uscita dall’euro, avrebbe pesanti conseguenze all’interno del Paese che non potrebbe più contare su capitali provenienti dall’estero, ma anche in tutta la zona euro crescerebbe un clima di sfiducia e quindi di incontrollabili turbolenze finanziarie.

Non si tratta tuttavia solo di un problema di debiti e crediti. I paesi europei temono che permettere alla Grecia di violare ancora a lungo il patto comunitario sarebbe un pessimo segnale sia per i paesi deboli, come Spagna e Portogallo e in parte anche l’Italia data la mole di debito pubblico, sia per i paesi forti come Germania e Francia che hanno i loro istituti bancari fortemente esposti verso Atene.

Detto questo tuttavia resta il fatto che, nonostante tutto, l’Europa ha mostrato una incredibile capacità di complicarsi la vita prima e di affrontare comunque i problemi poi.

Il fatto di aver evitato (almeno per ora) una crisi dirompente è infatti anche un segno della forza delle istituzioni europee e della capacità dei governanti di correggere la rotta se necessario.

Peraltro non è la prima volta che il progetto europeo è in difficoltà: nell’estate del 2011 l’Italia si era trovata nel vortice della speculazione finanziaria per l’evidente incapacità del Governo di allora di tenere sotto controllo i conti pubblici e pochi mesi dopo il Governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, aveva dovuto scendere in campo con la dichiarazione passata alla storia come “whatever it takes”: farò tutto quanto necessario per salvare l’euro, aggiungendo “e, credetemi, sarà sufficiente”.

Il caso greco ha peraltro due particolarità: in primo luogo quella di Atene è un’economia piccola e limitata, rappresenta poco più del 2% del PIL dell’Unione europea, ma nello stesso tempo è quella che ha subito i maggiori contraccolpi negativi dopo il 2008; in secondo luogo il debito greco non solo è il più alto d’Europa (oltre 170% del PIL), ma è anche quello più alto nei confronti dell’estero con oltre 240 miliardi suddivisi tre le banche e le istituzioni internazionali, come il Fondo monetario.

I Governi che si sono alternati alla guida del Paese, compresa quello di sinistra che ha preso il potere nei mesi scorsi, hanno tutti dal 2008 in poi cercato di sfruttare la partecipazione all’Europa come una cambiale in bianco con la stessa logica con cui il sistema finanziario non può permettersi di far fallire una grande banca. “Too big to fail”, troppo grande per fallire è diventato il paradigma con cui si è guardato alle maggiori crisi finanziarie dal fallimento di Lehman Brothers in poi. Proprio quel fallimento ha infatti scatenato una crisi di fiducia di cui si pagano ancora le conseguenze. Ed il costo sociale ed economico è stato enormemente più grande di quello che sarebbe costato evitarlo.

Da allora in poi nessuna grande banca è fallita e tanto meno si può permettere che fallisca un paese. Ma come ha giustamente osservato Papa Francesco nella sua enciclica “Laudato si’” a pagare questi salvataggi sono in fondo i popoli, mentre i dirigenti restano, salvo casi clamorosi, al loro posto con i loro lauti compensi.

In Grecia la politica si è dimostrata inadeguata nel gestire il vantaggio dei bassi tassi di interesse dopo l’ingresso nella moneta unica così come gli ingenti capitali che sono affluiti nel Paese grazie alle indirette garanzie europee. È stata infatti impostata una politica di austerità sociale, che ha provocato una forte caduta dell’economia, ma sono stati toccati solo marginalmente i due fronti maggiori per la stabilità dei conti pubblici: le spese militari da una parte e l’efficienza del Fisco dall’altra.

Il problema di fondo ora è quello di riavviare il sistema economico, di far riprendere ossigeno ai consumi, di tassare in maniera equa le attività economiche come quelle armatoriali. Nessuno si illude che la Grecia possa restituire il proprio debito: si tratta soltanto (ma non è poco) di renderlo sostenibile e quindi di mantenere bassi i tassi di interesse e di sotto controllo i conti dello Stato. L’Europa ha tutto l’interesse a salvare se stessa insieme alla Grecia e a non aggiungere problemi a quelli già esistenti. Anche se in questa fase si deve dare fiducia a un governo come quello greco di Tsipras impreparato e pasticcione, forte di un consenso popolare, ma scarso in realismo e affidabilità. Un governo condizionato da una minoranza populista e massimalista alla ricerca più di soluzioni clamorose, come l’uscita dall’euro, che di percorsi difficili ma sicuri per riavviare la crescita economica. La tentazione di fare come i topi nel formaggio è sempre molto alta: rosicchiare quello che c’è senza curarsi dei buchi che si lasciano. Salvo ritrovarsi alla fine solo con una crosta pesante e indigeribile.

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