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Divagando

MASTERPLAN: A CIASCUNO IL SUO

AMBROGIO VAGHI - 24/07/2015

L’area interessata dal masterplan

L’area interessata dal masterplan

Il masterplan di Piazza della Repubblica, come era giusto che fosse, ha innescato una interessante collana di proposte. Un fatto certamente di partecipazione democratica anche se è alto il rischio di cadere in una discussione da Bar Sport ove ognuno ha in tasca la sua formazione azzurra, quella sicuramente in grado di vincere il Campionato del mondo di calcio. Tutto lecito, naturalmente, se si evita di proporre in squadra, che so io, Silvio Piola accanto a Del Piero, o Giuseppe Meazza a fianco di Rivera. Altrimenti ne uscirebbe certamente il migliore team dei nostri sogni senza agganci a realtà consolidate, tempi, risorse finanziarie.

Anche chi scrive ha il suo masterplan già espresso in qualche articolo precedente individuando pregi e difetti di quello”ufficiale”, sopratutto nella parte riferita al colle occupato dalla sede dell’Università e destinato ad diventare la gallina dalle uova d’oro per finanziare il nuovo teatro, se non tutto almeno in gran parte. Quanto sarebbe bello poter restringere la piazza costruendo un bell’edificio a scomparsa del brutto Centro Commerciale. Cedendo parte della piazza e volumetrie si ricaverebbe in soldoni assai di più della cessione del Montalbano. E quanto costruito sarebbe qui assai più appetibile se messo sul libero mercato. Purtroppo, sotto, abbiamo quel maledetto buco…

Ma è proprio la dimensione il limite maggiore alla vivibilità urbana e dei problemi della nostra Piazza Repubblica? In altre epoche spazi ancora maggiori (non era ancora aperta Via Spinelli a lato della Caserma Garibaldi) non pare siano stati di ostacolo a momenti di vita di aggregazione dei varesini.

Una spianata nata neppure come Piazza d’armi, perché tale pare non sia mai stata, ha sempre trovato funzioni adeguate ai tempi. Il grande spazio di fatto era stato ridotto dai filari alberati posti a lato. Sotto gli ombrosi viali di ippocastani ( non sono un fitologo, ma a mio ricordo di ragazzo pare fossero questi gli alberi) si svolgeva gran parte del mercato settimanale del lunedì. Frequentarlo era quanto mai piacevole anche nelle assolate giornate estive. Qui si collocavano sopratutto le bancarelle degli alimentari freschi, prima che sorgesse il “nuovo” mercato coperto.

Era il regno sopratutto delle verdure dei Casbenatt tutti conosciuti dai clienti uno per uno, come conosciutissimo era “l’Anciuatt” Aimar, un valdostano che aveva trovato la sua piccola fortuna a Varese vendendo acciughe sotto sale, saracche e aringhe.

Sotto il sole dovevano collocarsi gli ambulanti meno fortunati e i venditori di sogni e di speranze. Quelli col pappagallino che col becco ti estraeva il biglietto della fortuna; quelli che con la fisarmonica intonavano le canzonette in voga e ti vendevano il foglietto con le parole (per la musica bastava il tuo orecchio…) e quelli che ti offrivano scatolette con unguenti al grasso di tasso o addirittura di serpente, vincenti ogni dolore! E le serate sopratutto quelle estive richiamavano in piazza anche dalle castellanze centinaia e centinaia di persone per godersi gli spettacoli sotto il tendone dei grandi circhi equestri, ma anche quelli all’aperto dei piccoli gruppi di saltimbanchi o di qualche funambolo che attraversava la piazza camminando su un cavo teso a venti metri dal suolo. Emozioni per tutti e al prezzo solo di poche offerte a quegli artisti di strada, come li chiamano oggi.

Una realtà e tempi diversi che non hanno mai fatto dire che quella Piazza del mercato fosse troppo ampia. La realtà di una Varese con migliaia di persone residenti nel suo centro storico. Non solo quelli viventi nella vecchia Piazza Porcari ma anche i tanti progressivamente espulsi dalla via Magenta fino in fondo a Via Sacco e dalla Via San Martino fino alla Motta. Vecchie residenze abbattute, riedificate e destinate a uffici direzionali o professionali che hanno trasformato Varese nel deserto delle ore serali. Con neppure più la presenza dei marmittoni accasermati alla Garibaldi.

Mentre si evolvevano consuetudini e necessità, esigenze di vita e di relazione l’amministrazione della città non è riuscita a dare a quell’ambiente una risposta, una funzione, adeguata ai tempi. E quando lo ha fatto ne conosciamo il risultato, un cratere per le automobili, un brutto centro commerciale e un teatro solo “mei che gnent”. Nella spianata di superficie poi architetti ed ingegneri inseguendo i loro discutibili esercizi grafici hanno costruito gradoni, percorsi pergolati e quant’altro di inutile. Tanto valeva lasciare spazio ai bambini per giocarvi liberamente al pallone come avviene in tante città in Europa. Gli è tutto da rifare direbbe il Gino Bartali. Ma come? Ecco il bello, tutto sta nell’ individuare le corrette funzioni da dare alla nostra benedetta piazza e agli edifici che l’affacciano.

Gli enti promotori del masterplan Comune, Regione e Provincia hanno fatto le loro scelte, hanno indicato funzioni, linee, risorse mobilitabili. Limiti troppo rigidi? Metodo e scelte errate? Ne avevano diritto? Certamente avevano legittimazione democratica. Eviterei di rifiutare il meccanismo della delega agli enti pubblici di nomina elettiva.

Mario Botta o Renzo Piano, tanto per fare qualche nome di archistar di livello internazionale, se nominati, non si sarebbero documentati, per prima cosa, sui precedenti storici ed urbanistici? Non avrebbero chiesto agli Amministratori pubblici, cioè ai committenti, precise indicazioni sulle esigenze sociali cittadine, sulle funzioni necessarie da assegnare ai palazzi nuovi o da ristrutturare, sullo stato di fatto e di diritto del comparto, e, non ultimo, sulle risorse finanziare da mettere in campo?

Era preferibile un concorso di idee? Mi pare che la questione fosse più nominalistica che di sostanza. Gli oltre duecento elaborati pervenuti nella prima fase risultano progetti di larghissima massima, cioè poco più che idee. E soltanto qualche diecina di essi proseguiranno nell’approfondimento. Anche i tempi che apparivano ristretti ci hanno ricordato che oggi si lavora celermente ai computer, superati il tecnigrafo e le righe tracciate con l’inchiostro di china.

Un errore quello di lanciare due bandi? Uno solo avrebbe meglio garantito una unicità di visione architettonica della piazza? Punti di vista certamente legittimi ma penso a quanto sia difficile, impossibile, amalgamare quel bailamme di stili costruttivi oggi esistente. Anzi la duplicazione dei bandi presenterebbe qualche vantaggio, cioè la fattibilità in tempi non storici della sistemazione della piazza e del recupero della Caserma Garibaldi essendo opere che appaiono già completamente finanziabili. Mentre potrebbe essere rinviata a tempi più felici la costruzione del nuovo Teatro il cui finanziamento dipenderebbe in gran parte dal futuro delle aree liberate dall’Università e da quelle in alto al colle Montalbano.

Certo Maroni e la Lega vogliono riguadagnare qualche punto finanziando il rinnovamento di Piazza della Repubblica in vista delle vicine elezioni comunali. E chi non lo capisce? Ma sono soldi nostri. Solo un piccolo, modesto risarcimento ai varesini per venti anni di errori e di nullità amministrativa. Un lunghissimo elenco a cominciare dai duecento letti sottratti al nuovo Ospedale di Circolo, all’unificazione delle stazioni ferroviarie e a un bel lago lasciato a morire. Un elenco, possibilmente, da non dimenticare.

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