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Attualità

SOLIDARIETÀ BOSINA

LUISA OPRANDI - 24/07/2015

mensaLa calura a tratti insopportabile di questo insolito luglio varesino non ha rallentato i ritmi della mensa di via Luini. Anzi, il numero degli ospiti che ogni sera ricevono il sacchetto con la cena è considerevolmente aumentato.

Volti nuovi, per lo più africani, hanno fatto salire a oltre 360 la quota delle persone assiepate dinanzi al cancello e poi in silenziosa fila per ricevere di che cibarsi.

Molti di loro appartengono probabilmente al gruppo dei profughi recentemente accolti in città che, alle sette di ogni calda sera estiva, si recano dalle Suore dell’Addolorata a richiedere cibo. Sorrisi spenti e pochissime parole di italiano, ma sufficienti a dire un timido grazie, sono ad ora i contatti tra i nuovi immigrati e il folto numero dei volontari che, quotidianamente, accompagnano il lavoro di Madre Maddalena e delle consorelle della Riparazione.

Quando poche sere fa in consiglio comunale si è discussa una mozione che chiedeva all’Amministrazione di indirizzare il Prefetto verso una scelta calmierata nell’accoglienza dei profughi, quei volti mi passavano per la mente: li rivedevo, benché ancora senza quella familiarità che, nel tempo, ciascun volontario della mensa ha costruito con gli ospiti. Li rivedevo con quegli occhioni grandi in visi che tradiscono, oltre la fatica, una giovane età. Volti che raccontano una solitudine non conosciuta, non ancora raccontata e tenuta in serbo tra i pensieri personali, nostalgici e spaventati.

Quando qualche amministratore ha ribadito, riferendosi ai criteri di accoglienza in città, che “i varesini sono stanchi e non ne possono più”, mi sono chiesta quando e come la città abbia urlato la propria insoddisfazione. I nuovi immigrai non fanno rumore, pagano lo scotto di avere dovuto lasciare casa e affetti e tacitamente cercano strade di sopravvivenza. E accanto a loro il folto numero di persone, di ogni età, di ogni colore, di ogni provenienza, che sia autoctona o straniera, aspetta anche per due ore che i cancelli della mensa di aprano.

Un signore anziano, solo pochi giorni fa, è entrato timidamente e, con grande garbo, ha chiesto come funzionasse il servizio: “È la prima volta che vengo, sono rimasto vedovo da poco e da solo non riesco a farcela”. Forse non solo economicamente.

Già perché la povertà che si incrocia in via Luini è anche quella della solitudine, che pesa tanto quanto la miseria dettata dalla mancanza di sostentamento. E a volte quello del recarsi alla mensa diventa anche un appuntamento con qualcuno, che sia ospite o volontario, piano paino entra nella quotidianità della fatica. Lo dicono coloro che, nel tempo, diventano familiari, con le loro storie, le loro caratteristiche, le loro personali modalità di vivere quello che, sicuramente, è un grande disagio. La tenerezza più grande è sempre riservata agli anziani e ai bambini, che sotto la calura di questi giorni, sanno che mani amiche hanno qualcosa “in più “ per loro; un dolcetto, un po’ di cioccolato, un piccolo dono.

Intanto aumenta anche il numero di coloro che sono disponibili a offrire il proprio tempo in questo servizio che è, senza ombra di dubbio, uno dei tratti della varesinità. Perché questa nostra città mai ha smesso di essere solidale, mai ha sottratto la mano quando è sorta una emergenza, mai ha distinto tra chi “merita” di essere accolto e chi invece debba essere tenuto altrove…

Al campanello di via Luini suonano tanti cittadini sconosciuti, umilmente silenziosi, che portano ogni giorno qualcosa: un contributo, del cibo, in questo periodo magliette e cappellini e in inverno giacconi, guanti e maglioni. Ora che gli ospiti sono quasi vicini alle quattrocento unità, questa solidarietà necessita di essere sostenuta maggiormente. E anche questa volta Varese ce la farà.

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