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Opinioni

ELOGIO DEL SILENZIO

EDOARDO ZIN - 31/07/2015

silenzioL’estate furibonda si è sfogata quest’anno con un impeto eccessivo: strade arroventate, campi depilati, erba inaridita, zolle di terra screpolate.

Anche se appagato dal lieve venticello che scende dal Campo dei Fiori, non riesco a prendere sonno. Sgattaiolo quatto quatto dal letto per non svegliare mia moglie e mi rifugio in giardino.

Al congedarmi dal giorno accaldato, mi trovo assorto nella sospensione diffusa delle cose, nel silenzio corale e nella vastissima quiete. Sarà a causa della mia età ormai avanzata, ma rifuggo dai rumori che avvolgono strade, dalle voci delle case, dalle urla dei bar, dai decibel dei maniaci del chiasso, da chi blatera trivialità o urla rozzezze durante spettacoli televisivi,da chi strepita nelle discoteche… Non comprendo perché l’uomo alienato si circondi di rumori che aumentano ancora di più la sua tensione nervosa!

Il silenzio che mi avvolge non è simile a quello del pomeriggio. È salubre e piacevole. Dona allo spirito distensione, preludio alla riflessione, alla conversazione interiore, alla preghiera. Approdo a un momento di pace che mi rasserena anche con ciò che mi attornia: il gracidare delle rane di un lontano stagno, il ciagottare chiacchierino della fontana nel vicino giardino, l’ultimo concertare di un uccello, il brulicante frescheggiare del pioppo. Mi sembra di rinascere: la terra affaticata finalmente riposa, una brezza corroborante mi lambisce il corpo, in cielo la luna corre come se fosse inseguita…

È il momento dei pensieri fluttuanti, del ripasso che si dilaterà correndo indietro lungo l’arco del tempo e indagherà fra ricordi, volti e voci sopite. Il cuore, pauroso di tragedie, inaridito, spesso scontroso, ritrova un sussulto di vigore; lo sguardo rivolto in alto mi riporta al bene, al buono, al bello che ho ricevuto, visto, sperimentato; riemergono emozioni, la memoria si fa presente; i sentimenti diventano sprone per la ragione e la volontà; le animosità si placano; le speranze si rinsaldano.

Sembra un paradosso, ma il silenzio non mi isola, ma mi mette in comunione con chi mi è caro e è lontano, con l’amico malato, con gli anziani che in questi giorni acutizzano la pesante amarezza dell’abbandono o dell’isolamento.

Penso a chi sta per partire per le vacanze: partono la sera stessa che sono liberi, vanno a dormire male, a mangiare quello che vogliono gli altri, a subire compagnie occasionali, ad ascoltare discorsi senza senso, convinti di riposare. Dovrebbero provare a gustare il silenzio in una chiesina di montagna, nel fruscio delle onde di una baia deserta, sulla vetta di un monte, in riva a un lago isolato o sdraiati sotto un larice al margine di un pascolo punteggiato di fiori.

Anch’io rimpiango il tempo perduto nei pomeriggi afosi dei pomeriggi della mia giovinezza in cui naufragavo in chiacchiere stanche e contemporaneamente sento la nostalgia dei silenzi delle notti passate nei rifugi delle mie Dolomiti. Spontaneamente il pensiero corre a quei poveri ragazzi che, spossessati di sé, pagano il prezzo della massa, lo spirito gregario, l’inclinazione all’intruppamento, reazione difensiva alla loro fragilità ideologica.

All’opposto mi è caro immaginare quei giovani che vivono l’esperienza dei campi scuola sulle nostre montagne o in terra di missione, a quelli che si ritrovano nel minuscolo villaggio della Borgogna, a Taizè, nella vasta “chiesa”, intenti a salmodiare in tutte le lingue d’Europa per poi abbandonarsi in un silenzio inatteso o a quelli che condividono la vita dei monaci di Bose o ai potenti uomini d’affari, dell’economia e dell’impresa che, sempre più numerosi, cercano ristoro presso le abbazie benedettine.

Forse l’uomo d’oggi ha perso l’abitudine del silenzio e della riflessione perché ha paura di confrontarsi con la verità. Buttate via le ideologie, con esse ha buttato via anche le idee e ora ricerca la sua piena identità in una temporanea sosta per entrare in se stesso e prendere coscienza dei suoi limiti e dei suoi talenti. Recuperare silenzio non diventa un’evasione dalle difficoltà, caccia al quieto vivere, senza problemi né fastidi, ma piuttosto momento per unificare il vivere agitato, frammentato, tormentato, in unità: quella del cuore.

Ormai è notte inoltrata. Accendo la luce e rientro in casa. Passando accanto allo scrittoio leggo ancora una volta il biglietto inviatomi dal monaco amico: “Il più grande viaggio che devi compiere è quello che va dalla ragione al cuore”. È un viaggio – rimugino fra me – lungo e accidentato, ma che porta ad una meta certa: la pace della coscienza.

A chi si mette in viaggio per un meritato riposo posso indirizzare l’augurio del monaco?

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