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Opinioni

SINDACO/2 L’UMILTÀ CHE CI SERVE

FRANCESCO SPATOLA - 18/09/2015

Il Consiglio Comunale di Varese

Il Consiglio Comunale di Varese

In vista delle elezioni 2016 al Comune di Varese, è in corso presso l’opinione pubblica un animato dibattito sulle caratteristiche che dovrebbe avere il candidato sindaco per vincere la partita. Tutta l’attenzione è concentrata sugli elementi di carisma e di autorevolezza che il candidato vincente dovrebbe possedere per avere successo elettorale, nessuna attenzione su quali caratteristiche dovrebbe avere perché sia la città di Varese ad avere successo risolvendo i suoi problemi. Sembra quasi che non interessi a nessuno quale sindaco serva a Varese e ai varesini, ma solo quale sindaco potrebbe sedurli e soggiogarli.

Ed ecco le polemiche incentrarsi sulla notorietà dei candidati, di sinistra di centro e di destra, generalmente per concludere che rispetto ai nomi in campo nessuno sarebbe ancora stato toccato dalla grazia divina.

Polemiche inutili, tempo perso. Tutti partono dall’errato presupposto che il campo politico-elettorale varesino sia bloccato entro un recinto chiuso, che partiti e candidati devono cercare di spartirsi: come una torta già confezionata di cui dividersi le fette. Nessuno pensa che sia un campo aperto di cui ridefinire continuamente i confini, attraverso le varie fasi della campagna elettorale: come una torta in fieri che può lievitare. La politica come spettacolo, a cui assistere attraverso le lenti, deformate e deformanti, dei giornali e delle tv locali, salvo qualche scorribanda trasgressiva su Facebook e i social media. Ma comunque da guardare passivamente, senza alcuna speranza di partecipazione attiva, di incontri umani che scambino e dibattano opinioni personali, che possano arrivare a spostare consenso dall’uno all’altro contendente.

Tanta apparente americanizzazione della politica locale, ma nessuno che la voglia fare davvero “all’americana”, cioè a partire dalla presenza personale nelle piazze e nelle strade, davanti alle stazioni alle scuole e ai supermercati, in giro da un rione all’altro, porta-a-porta, con la comunicazione che preavvisa registra e promuove quel che si fa nella realtà materiale ma non lo sostituisce con la realtà virtuale.

Un’illusione pigra, che scimmiotta la subordinazione massmediatica della politica nazionale, e così facendo copre il menefreghismo sostanziale verso l’impegno politico come bene di tutti ed impedisce di valutare seriamente quello che, attraverso la competizione politico-elettorale, serve alla città: scegliere un programma adatto a risolvere i suoi problemi, con il sostegno di partiti e candidati adatti non a irretire mediaticamente le folle ma ad attuare quel programma risolvendo i problemi. Proviamo invece a ripartire da quel che serve alla città, e solo dopo a definire il sindaco più adatto!

Varese soffre una decadenza che dura da tempo, dopo la ricostruzione affannosa e mediocre del Secondo Dopoguerra che ha bruciato l’ex Città-Giardino. I suoi principali problemi sono insorti e cristallizzati da decenni: il Sacro Monte desolato, la funicolare prima dismessa ed ora deserta, le stazioni da unificare e la città capoluogo che fa da capolinea. E il traffico sempre più soffocante, la caserma vuota da riutilizzare e nel frattempo pericolante, il teatro da ricostruire, la cultura senza soldi perché con la cultura “non si mangia”. Ancora: i grandi impianti sportivi cadenti e a rischio, le brutture edilizie tra villettismo scialbo e casermoni tristi. L’inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo, la megalomane ossessione per le grandi opere, la miope insensibilità per la manutenzione cittadina. Le sedi comunali disperse e inefficienti, la macchina comunale “federazione di repubbliche indipendenti”, politici e tecnici separati in casa e gli uni contro gli altri armati, le “segrete stanze” di Assessori-Sindaco-Giunta che monopolizzano il potere e snobbano e ridicolizzano quel Consiglio Comunale che è il rappresentante diretto dei cittadini …

Ma come se non bastasse, vi si sono aggiunti i problemi che il malgoverno dell’ultimo ventennio leghista s’è inventato o non ha saputo affrontare: il calo drastico della popolazione e l’emigrazione dei giovani, le periferie abbandonate, la solitudine e l’anonimato urbano, il degrado di piazza Repubblica, terminale d’un asse d’abbandono che parte dalle stazioni. E la sciatteria, sporcizia e trascuratezza nei luoghi e negli spazi pubblici, e privati aperti al pubblico, che solleva l’indignazione popolare su Facebook. La desertificazione industriale e del commercio di prossimità, la proliferazione incontrollata della grande e grandissima distribuzione. Il lavoro che non c’è più o si precarizza, la povertà che cresce, l’emergenza-sfratti con quasi 4000 case vuote. La dispersione scolastica, l’emergenza educativa, l’estraneità reciproca tra città e Università, il volto indefinito dell’Università, il flop della vocazione turistica, l’arrivo in massa dei migranti stranieri …

Uscire dalla palude dei problemi e dall’abulia dei rappezzi o dei rinvii di soluzioni non è certo facile, tanto più che la crisi finanziaria statale ha messo alle corde i Comuni, costringendoli a tagli di spesa incontrollati e ad aumenti di tasse al limite del tollerabile. Varese ha avuto in più la sciagurata avventura finanziaria dei Mondiali di Ciclismo 2008, quando la megalomane ambizione leghista di vetrina internazionale ha creato nuovi e fallimentari grandi alberghi, con un surplus di entrate comunali da oneri di urbanizzazione per oltre 5 milioni di euro nel 2007; diventati dall’anno successivo un pari obbligo di avanzo permanente. Così, un “grande evento” che ha fatto ricordare Varese solo per i ciclisti che in diretta TV orinano alla curva di via Montello, e che i varesini ricordano per l’assurda asfaltatura della pista dell’Ippodromo, ha finito per obbligare il comune varesino non più solo al pareggio di bilancio ma a un esorbitante avanzo finanziario, nel contesto del capzioso patto di stabilità.

In queste condizioni solo un pazzo vorrebbe fare il sindaco a Varese. O un tenace ambizioso del bene comune, che sappia rinunciare ai sogni di gloria e punti sul bisogno oggi fondamentale della città: la cura meticolosa della sua sciupata persistente bellezza, la mitigazione dei danni arrecati, il restauro da rughe e insulti del tempo e dall’insulsaggine dei suoi governanti, il guarire dalla depressione delle energie sociali migliori. Priorità assoluta per gli interventi di manutenzione e decoro urbano: ecco il primo capovolgimento di prospettiva per la politica a Varese, sospendendo le nuove opere ed azzerando quelle dannose a partire dal parcheggio alla Prima Cappella. E centralità del verde e del pregio paesaggistico-ambientale nella gestione del territorio e nelle opere pubbliche, revisionando il PGT e il programma triennale dei lavori pubblici comunali.

Fare molto con poco, quindi risparmio energetico negli edifici e nelle reti tecnologiche. Facilitazione ed impulso all’innovazione ed all’intraprendenza dei varesini per rinnovare le occasioni d’impresa e di lavoro. E sussidiarietà al massimo grado nei servizi: Comune come sollecitatore, progettista e regista degli interventi che tutti i soggetti di buona volontà e amore per la città siano disposti a fare, per un fund raising collettivo e sapendo mettere a denominatore comune le risorse private con quelle pubbliche, su idee di sviluppo condivise: in campo culturale, sportivo, ricreativo, turistico, socio assistenziale, perché la città sia e diventi comunità viva, attiva, matura e solidale. Ma anche sussidiarietà istituzionale, dialogando con i comuni del territorio e la nuova Provincia-Area Vasta per infrastrutture e servizi funzionali per tutti. E con Regione e Stato, prescindendo dal colore politico e da polemiche partitiche, lavorando costruttivamente per l’interesse collettivo.

Avere a cuore la città per averne cura: non considerarla un oggetto del proprio potere di governo, ma il riferimento costante ed il vero protagonista dell’azione politica. Per questo la partecipazione popolare è indispensabile, perché la città non può e non deve subire l’azione di governo, ma orientarla costantemente: con l’opinione pubblica sui mass-media, ma soprattutto con la sensibilità e l’iniziativa collettiva spontanea, con l’ascolto dei comitati civici e la convocazione sistematica di assemblee pubbliche, di rione e cittadine. E con il bilancio partecipato, che crea unità concreta tra cittadini e governanti sulle decisioni.

Ancor di più: ripristinando il potere di governo del Consiglio Comunale, vero ed unico depositario della sovranità popolare nella democrazia rappresentativa locale ma sempre detronizzato e “derubato” dalla Giunta e dal Sindaco. E recuperando il senso del volontariato politico con un taglio drastico dei costi della politica, innanzitutto per Sindaco e Giunta, con un numero minimo di Assessori che favorisca l’unitarietà e quindi l’efficienza della macchina comunale.

Ricordando che volontariato politico non è affatto sinonimo di dilettantismo: al contrario, la provata incompetenza dei professionisti della politica, pagati a fior di quattromila euro al mese per fare gli assessori due ore alla settimana è lì a dimostrarlo. Chi ama la sua città è disposto a prendersene cura molto di più se con un’indennità di carica simbolica, e si darà da fare al massimo per far lavorare i dirigenti e i quadri, i veri professionisti dell’istituzione comunale, che han sempre dovuto subire i capricci anti-produttivi dei politici-professionisti e van risvegliati dalla demotivazione.

Alla fine, serve far emergere le energie della città più che quelle del sindaco. E serve un sindaco capace di suscitare quelle energie, anziché sostituirle come “uomo della Provvidenza”. Un sindaco che sappia parlare con tutti e trarne il meglio, che aborrisca gli interessi particolari e s’appassioni a quelli collettivi. Un sindaco col carisma del dialogo e l’autorevolezza del servizio, che non tenda ad arrogarsi la rappresentanza unica della Varese che conta ma sia disponibile per la Varese che fa. E che faccia a sua volta, ottimizzando le risorse del Comune ma anche e soprattutto della città: nessun autocompiacimento da “fenomeno”, ma l’umiltà del fare.

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