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Attualità

INSEGNARE A PARLARE

EDOARDO ZIN - 18/09/2015

parole“Sono soggetta a una vera deportazione!”- si lamenta la professoressa che è costretta per entrare in ruolo a cambiare sede: usa un termine (“deportazione”) per enfatizzare il suo disagio, ma dà una falsa identificazione a una parola che evoca l’olocausto, i campi di sterminio. La parola viene abusata.

“Il 16 dicembre segnerà il funerale delle tasse!” – dichiara trionfante il Presidente del Consiglio, che usa uno slogan per annunciare un fatto rilevante che sa molto atteso dalla gente. Non illustra modalità, termini, coperture finanziarie necessarie per raggiungere lo scopo. La parola viene usata per attirare consensi e diventa, perciò, strumento di potere. In questo caso la parola viene mistificata per sedurre.

“I rom sono geneticamente portati a delinquere…”- proclama un sindaco veneto, il quale riduce così la parola ad affermazioni agghiaccianti, non dimostrabili. Falsifica la realtà, influendo ad aumentare la paura per il diverso: delegittima la verità, di cui la parola deve sempre farsi portatrice.

“I siriani sono negri bianchi!” – pronuncia alla radio, sprezzante, un intervistato. È chiara la contraddizione. Usa un paradosso perché incapace di definire un popolo, la cui antica cultura ha contribuito alla formazione della civiltà occidentale. La parola gli serve per combattere chi non conosce, ma che il suo animo pieno di acredine gli suggerisce per affermarsi come chi è in lotta sempre con qualcuno.

“L’ ONU chiede ai ricchi italiani di mantenere gli immigrati” titola a grossi caratteri un quotidiano. La parola scritta è ancor più manipolata e svilita al fine di richiamare l’attenzione dei lettori, mentre essa dovrebbe riprendere l’esattezza della notizia e indurre il lettore, dopo una meticolosa verifica, a costruirsi un pensiero veritiero sulla vicenda.

Potremmo continuare nel denunciare la volgarizzazione e la banalizzazione di certe parole urlate durante i processi dei talk show, i gargarismi semantici di certi intellettuali che sono vere barriere per una comprensione, la riduzione della parola a scherzi o a barzellette da parte dei politici, il vuoto profondo e le parole sboccate nella comunicazione fra giovani, gli intercalari di un gergo rozzo, la lunga sequenza di banalità emesse al cellulare che si è costretti a udire in treno…

Nella società d’oggi in cui tutto si vive in tempo reale, in cui si soffre d’amnesia del passato e non si è capaci di figurare il futuro, la parola non viene ponderata. La velocità e la fretta ci nascondono la misura e il limite della parola. Siamo sempre sul piede di partenza, protesi a pensare a quello che faremo immediatamente dopo, non ci si riposa sul momento che stiamo vivendo e anche la parola non diviene più espressione di un pensiero. Eppure la parola è importante. La parola è sacra. È ciò che ci fa umani.

La parola viene oggi abusata, disgiunta dalla realtà, usata per ottenere il consenso immediato, talvolta diviene scorciatoia per risolvere i problemi, pronunciamento non spiegato. C’è uno scarto eccessivo tra parola e fatti.

Occorre restituire alla parola il suo valore pregnante in modo che non si sfilacci il suo legame con il pensiero e con la verità.

Papa Francesco ci dona continuamente l’esempio che la parola pronunciata con franchezza e mitezza diventa denuncia di mali infami e contemporaneamente esprime la radicalità del Vangelo e l’invito alla conversione. La “parresia” della sua parola invita al discernimento, a dare risposte alla coscienza che ci interpella, a mantenere le promesse con se stessi, a rispondere di sé davanti al futuro.

Gli insegnanti oggi più che mai sono chiamati a educare all’uso della parola. La scuola, primo luogo in cui si esperimenta la democrazia, deve insegnare a parlare solo se si ha un pensiero da esprimere, a rispettare la parola degli altri, non permettendo che si prevarichi l’altro con interruzioni o interferenze, a formare nei giovani rigore mentale e spirito critico, a ritornare alla purezza e alla sobrietà della parola.

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