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Presente storico

SPIRITO TRADITO DEL PASSATO

ENZO R. LAFORGIA - 04/12/2015

2011: su Palazzo Estense sventola anche la bandiera del Milan

2011: su Palazzo Estense sventola anche la bandiera del Milan

Oltre l’80 per cento. 80,4, per la precisione. Di tale portata fu l’affluenza alle urne nella città di Varese il 7 aprile del 1946. Si votò, dopo più di vent’anni, per eleggere il Consiglio comunale. Dei 40 seggi assegnati, 18 andarono alla Democrazia cristiana, 15 al Partito socialista, 5 al Partito comunista ed uno ciascuno al Partito d’Azione e agli Indipendenti. Il 7 aprile fu l’ultimo giorno in cui si votò per il rinnovo delle amministrazioni locali (la tornata elettorale era iniziata il 17 marzo) e Varese poté vantare il primato di essere l’unica provincia di un’Italia ancora ferita dalla guerra in cui tutti i 116 comuni del territorio erano stati eletti democraticamente.

La campagna elettorale – una novità per Varese e per l’Italia – aveva richiamato in città personaggi del calibro di Mario Scelba, Pietro Nenni, Giovanni Roveda (il primo sindaco di Torino dopo la Liberazione), Palmiro Togliatti, Alberto Cianca, Gisella Floreanini (già ministro nella breve ed eroica esperienza della Repubblica partigiana dell’Ossola), Giovanni Gronchi, Giancarlo Pajetta.

Benché la Democrazia Cristiana avesse conquistato quasi metà dei seggi, non riuscì a trovare un accordo con le altre forze politiche. La scelta del sindaco ricadde sul socialista Luigi Cova. Era stato, questi, l’ultimo sindaco di Varese prima dell’avvento del fascismo (da cui era stato rimosso nel 1922). La DC, pur invitata a far parte della giunta, se ne tenne fuori. Assunse tuttavia un atteggiamento collaborativo: la situazione generale del Paese richiedeva grande responsabilità. I partiti, inoltre, erano già impegnati, a quella data, nella campagna elettorale per il referendum istituzionale e la contestuale elezione dell’Assemblea costituente.

Il personale politico di allora aveva necessariamente attraversato il fascismo e la guerra e partecipava ora a quel fermento generale che pervadeva la penisola e che risentiva dei nuovi equilibri internazionali. Nel gennaio del 1947, l’ala democratico-riformista del Partito socialista avrebbe dato vita al Partito socialista dei lavoratori italiani guidato da Giuseppe Saragat e che poi avrebbe assunto la denominazione di Partito socialdemocratico italiano. Luigi Cova vi aderì.

Dopo quasi settant’anni, Varese tornerà a votare per eleggere un nuovo sindaco. Certo, in un Paese più disincantato di allora e con una democrazia che sembra in affanno. Dal 1993 ad oggi, Varese è stata governata da un unico blocco politico. I partiti che ne hanno fatto parte si erano presentati all’indomani della stagione di Mani pulite come espressione del «nuovo». Sono invecchiati tutti male e in fretta.

Difficile ritrovare nell’ultimo quarto di secolo, nella classe dirigente che ha guidato la città, l’umiltà e la passione civile e ideale della classe dirigente che guidò Varese all’indomani della guerra. Difficile pensare che, dopo settant’anni, i cittadini di Varese ritorneranno alle urne con la prorompente voglia di partecipare di allora.

E tuttavia, forse avremmo bisogno oggi più che mai di politici appassionati e passionali. Non più o non solo occupati ad esibirsi in strampalate battaglie mediatiche, in urla scomposte, in buffonesche campagne che lasceranno il loro segno nella cronaca quotidiana per poi essere dimenticate il giorno dopo. È singolare che in occasione degli attentati di Parigi, nessuno di questi difensori del presepe o di questi «entusiasti della famiglia» (espressione del teologo Enzo Bianchi) o dei difensori di una strana idea di «civiltà» abbia pensato di esporre un tricolore francese dal balcone del Palazzo estense. Eppure appena qualche anno fa, nel maggio del 2011, lo stesso sindaco aveva sentito l’impellente bisogno di far sventolare un’altra bandiera da quello stesso palazzo, accanto al drappo nazionale, a quello dell’Unione europea e a quello del Comune. Ma era la bandiera del Milan, che aveva vinto il suo diciottesimo scudetto. Una classe politica credo si debba valutare anche per i gesti simbolici che affida alla storia.

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