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Parole

INTOLLERANZA/1 GIÙ IL VOLUME

MARGHERITA GIROMINI - 04/12/2015

intolleranzaINTOLLERANZA: 1. Incapacità o impossibilità di sopportare: i. del freddo, del dolore; i. delle ingiustizie, di ogni autorità, di ogni freno; 2. Attaccamento rigido alle proprie idee e convinzioni, per cui non si ammettono in altri opinioni diverse e si cerca di impedirne la libera espressione, partendo dal presupposto dell’unicità della verità, e dalla convinzione di essere in possesso della verità stessa: i. politica, religiosa; fatti, episodî, manifestazioni d’intolleranza.

Parlerò di alcune intolleranze, appartenenti sia al gruppo 1. sia al gruppo 2.

Viviamo in un’epoca di gravi intolleranze che sperimentiamo ogni giorno. Intolleranti, per definizione, sono ai nostri occhi i fondamentalisti di ogni religione. In particolare, in questo momento storico, coloro che in nome della fede compiono gesti criminali. Ma di loro non intendo parlare, non avendo molto altro da aggiungere a ciò che è stato detto e scritto a seguito dei fatti di Parigi, di gennaio e di oggi.

Voglio parlare di noi. Delle piccole intolleranze quotidiane e di altre più grandi.

Intolleranti tutti noi, davanti alla fila per raggiungere uno sportello: troviamo il modo di gridare, litigare, interrompere, accusare. L’impiegato è troppo lento, il vicino di coda fa il furbo. Ai segnali di stop mentre siamo alla guida, quante volte ci siamo lasciati andare a giudizi impietosi nei confronti dell’altro automobilista che ci stava rubando il passo.

Intolleranti i politici, di grande e di piccolo calibro, nei talk show, pronti a inveire e a offendere l’altro ospite, senza ritegno e senza misura. Quando le accuse non riescono a essere politiche, allora virano sul personali. Lei è impresentabile, l’altro è un ignorante, costui invece si merita il sorrisetto di scherno.

Tra un urlo e l’altro, proprio mentre le telecamere stanno riprendendo lo spettacolo, si dà un’occhiata al tablet mostrando con ciò l’interesse che si nutre per le opinioni altrui. Sotto lo sguardo, spesso stranito, a volte incredulo, del conduttore di turno.

Intolleranti siamo diventati, di conseguenza, noi spettatori, che con estrema difficoltà arriviamo alla fine del talk show perché non ce la facciamo proprio a seguire la recita a soggetto dei maleducati eccellenti.

Intolleranti anche di fronte alla “notizia”, quella pervenuta sulle ali dei media. Ad essa aderiamo d’istinto, perché ci colpisce direttamente alla pancia. Dove spesso ci fermiamo.

Il preside di Rozzano? Condannato senza possibilità di replica, quasi all’unanimità, senza distinzione, ormai, di colore politico. Ma c’era, c’è, forse, un’altra verità, più semplice, più lineare. Se ne parla però sommessamente, l’ho sentita per radio ad una trasmissione “seria”, raccontata dalla responsabile del Comitato per Rozzano, gruppo che da anni opera per l’integrazione nei quartieri. Ma questa seconda parte dell’evento scandaloso non ci interessa già più.

Tempo scaduto; intolleranti anche al tempo che passa veloce, che non permette di approfondire, indagare, informarsi, dialogare con l’altro.

Intolleranti ai pareri plurimi su uno stesso fatto, perché costa fatica ascoltare tutte le campane per farsi un’idea propria. Allora, avanti con le posizioni urlate, che soffocano il parere altrui ma in compenso affermano, subito, la nostra ragione.

E io? Anch’io, certo, come potrei non essere intollerante?

Ai luoghi comuni, che cominciano con la parola “tutti” seguita da una categorizzazione spesso ingiustificata: tutti i musulmani, tutti i Grillini, tutti gli zingari … con seguito di aggettivi qualificativi dispregiativi.

Alle ammucchiate ideologiche che nascondono provvisorie coalizioni volte alla difesa del nostro “io” e del nostro “noi”.

Alla radicalizzazione dei valori occidentali, che sono anche i miei, naturalmente, ma che detesto usare come clava demagogica.

Al Presepe di Stato, reclamato dagli strenui difensori della cristianità a tutto volume, un presepe che già mi immagino certificato, con numero obbligato di statuine, pastori, pecorelle.

Potrei diventare intollerante, addirittura, a questo prossimo Natale che si affaccia tra clamori e rivendicazioni, con capannelli di gente arrabbiata che chiede – subito – la testa di qualcuno: licenziare, sospendere, buttare fuori. O che difende qualcun altro accusato di un’azione delittuosa di cui conosceremo solo la superficie.

Però abbiamo ancora qualche settimana di tempo per abbassare i toni, ristabilire il giusto sguardo sugli eventi, prepararci ad accogliere “IL” messaggio di pace e di fratellanza. Cristiani, laici, musulmani, atei e agnostici.

Possiamo farcela.

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