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Spettacoli

NOTTE SENZA SOGNI

BARBARA MAJORINO - 11/12/2015

Prima_notte_quiete_Era già notte alta quando su Rai Movie hanno programmato un film sempre rimasto nel cuore di molti appassionati di cinema: “La prima notte di quiete” di Valerio Zurlini. Valeva la pena di stare alzati fino alle tre, per rivederlo…

 Zurlini non ha raggiunto, nella storia del nostro cinema, la celebrità del trio Fellini, Visconti, Antonioni, ma sicuramente viene ricordato come il cantore della provincia emiliana e romagnola, capace di riprodurre atmosfere, ritratti intimisti e risvolti psicologici di grande intensità. Basta ricordare lo struggente “La ragazza con la valigia”, girato a Parma e, in parte, a Rimini; e poi “Estate violenta”, girato a Riccione. Valerio Zurlini ha saputo creare un ponte fra il cinema e la letteratura che lo rende unico e dalla cifra stilistica riconoscibile (da ricordare, tra l’altro, “Cronaca Familiare” tratto dal romanzo di Pratolini e “Il deserto dei tartari” tratto da Buzzati). Lo si può amare ancora più degli altri tre grandi maestri, senza nulla togliere alla bravura dei tre citati grandi registi, in quanto lo si considera parte integrante dell’educazione sentimentale di molti Italiani.

 Nel 1972 dopo cinque anni di pausa nei quali ebbe fortunate collaborazioni per la tv (tra cui una serie di caroselli pubblicitari per la Barilla con Mina), Zurlini torna ai moduli drammatici con “La prima notte di quiete”, interpretato da Alain Delon, Sonia Petrova, Lea Massari e Giancarlo Giannini. La sceneggiatura risaliva a otto anni prima e faceva parte di un’ambiziosa trilogia mai realizzata, dove si intrecciava il destino di una famiglia all’interno delle vicende dell’Italia coloniale. Film amaro e controverso “La prima notte di quiete”, all’inizio contestato dalla critica (che oggi lo rivaluta), viene invece molto apprezzato dal pubblico.

 Si rivela il maggior successo del regista e uno dei film più visti dell’anno e rivisti nel corso degli anni. Il film è stato restaurato nel 2000 dalla Philip Morris. Spicca su tutti Alain Delon, nel ruolo di un professore del Liceo (nella versione francese si intitola, per l’appunto “Le Professeur”) dall’aria trasandata e débauchée con barba incolta, maglione a collo alto e cappotto color cammello, il quale dichiara nelle sue interviste che è stata una delle sue interpretazioni a lui particolarmente cara. Delon fu, del resto, cofinanziatore del film.

Ritratto intimista di Daniele Dominici, professore di letteratura, angelo caduto e insabbiato da un passato misterioso e senza radici che giunge in una Rimini invernale aggredita dai venti, ed è in sintesi, la storia del suo naufragio esistenziale. Manco a dirlo il film si apre infatti con la scena di un naufragio di una barca a vela nel quale uno skipper inglese si rivolge a lui che passeggiava solitario sul molo tra i flutti e i venti furiosi, chiedendogli in che località fosse approdato. Daniele gli risponde in perfetto inglese, ciò che caratterizza già lo “straniero” girovago e déraciné che c’è in lui.

Al liceo durante le ore di lezioni di Lettere, è intrigato da Vanina sua allieva dal nome stendhaliano (interpretato dall’attrice-danzatrice classica Sonia Petrova) ragazza bella e dissoluta che sua madre fece prostituire fin da ragazzina (fa la mantenuta di un ricco arrogante play boy di Rimini che scorrazza in Miura). La ragazza, pervasa di un’insondabile enigmatica malinconia, lo attrae e a poco a poco se ne innamora, ricambiato. Il nuovo amore rappresenta per lui, l’occasione di una rinascita rispetto a un legame ventennale con Monica (Lea Massari), giunto ormai al capolinea.

C’è dunque un eroe “maledetto”, c’è un ostile ambiente di provincia (una suggestiva Rimini invernale, livida, cupa che è un luogo ma anche uno stato d’animo e una condizione, che forse conta più della storia in sé, come ebbe a dire lo stesso Zurlini. C’è un’atmosfera sospesa, rarefatta e melanconica; ci sono i personaggi di contorno tra cui spicca un ottimo Giancarlo Giannini nel ruolo di Giorgio Mosca detto Spider, folletto bizzarro a sua volta attratto dal fascino ombroso di Daniele del quale vorrebbe investigare il passato); c’è una sapiente scrittura nella descrizione dell’ignobile verminaio della combriccola provinciale dedita a partite di poker e bevute, cui si contrappongono le sortite verso i cieli di uno spiritualismo cristiano (la scena a Monterchi dove Daniele e Vanina stanno davanti all’affresco della Madonna del Parto di Piero Della Francesca). Daniele vorrebbe redimere Vanina, redimendo se stesso; salvarla salvandosi.

L’epilogo del film è drammatico e svela il mistero sulle origini aristocratiche del personaggio eternamente in fuga, figlio di un eroe di El Alamein. La prima notte di quiete è ispirato a una frase di Goethe per indicare “perché finalmente si dorme senza sogni” e la vita con i suoi affanni quotidiani non può più farci soffrire.

Impossibile non mettere il film in relazione ai “I vitelloni” di Fellini, trent’anni dopo, quando l’innocenza è ormai perduta e i nuovi vitelloni di Rimini ivi descritti non fanno più ridere ma sono incanagliti da una vita senza senso. Alain Delon dal fascino umbratile e tenebroso non è mai stato così bravo e bello. Una curiosità: la lavorazione del film fu molto difficile perché tra il regista e il protagonista non ci fu molta sintonia. Pare che Zurlini gli avesse detto molto ruvidamente: “Spero che la tua sia stata una buona interpretazione”. Al che, piccato, Delon replicò: “Spero che tu abbia fatto un buon film”.

Nonostante ciò, l’attore francese amò molto il personaggio interpretato e indossò per tutta la durata del film, il cappotto di cammello e il maglione verde che erano abiti personali di Zurlini.

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