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Lettere

IL NATALE DEI CRISTIANI. E I MUSULMANI?

- 16/12/2015

Da qualche anno seguo nello studio dieci-quindici ragazzi delle scuole elementari e medie del mio bellissimo quartiere: San Fermo. Non tutti i varesini lo conoscono bene perché non è propriamente un luogo di passaggio. Ci si deve venire apposta. Vantiamo però una storia millenaria, di cui eventi come le visite pastorali del 1574 di uomini come San Carlo Borromeo sono testimonianze documentate nei registri parrocchiali e nella memoria collettiva.

Portiamo avanti il Doposcuola con un gruppo di dieci volontari che, ancor prima di re-immergersi nelle grammatiche e nelle matematiche di cui i ragazzi sono carenti, scoprono e ri-scoprono la vocazione alla vicinanza affettuosa e premurosa come a dei nuovi figli o a dei nipoti.

La Dirigente e i Docenti indirizzano verso il nostro Servizio gli alunni che più hanno bisogno di essere seguiti. Molti di questi sono “ragazzi” con passaporto straniero – o figli di “genitori” con passaporto straniero –. Ho appreso questa bellissima definizione dall’Assessore alla Istruzione del Comune di Milano durante un incontro di coordinamento dei Doposcuola parrocchiali. E’ importante porre l’accento su chi siamo: ragazzi, genitori,… anziché solo su un aspetto della nostra esistenza. E’ vitale perché ci dà la possibilità di trovare punti di unione piuttosto che di separazione. Tale approccio rispettoso è premessa necessaria per comprendere e accogliere l’altro e sta entrando anche nel nostro lessico in modo altrettanto sostanzioso. Pensiamo ad esempio a “persone” disabili, anziché a “disabili” o, peggio, “handicappati”. Si pone così l’accento sull’essere “persone” e non sull’appartenenza a una categoria separata.

I ragazzi con passaporto straniero allora non sono più stranieri , extracomunitari, eccetera, ma semplicemente ragazzi della comunità. I “nostri” ragazzi (qui l’aggettivo è voluto) sono molto sensibili a queste sottigliezze – che però tali non sono – perché acquisiscono mentalità anche attraverso il linguaggio degli adulti. La responsabilità è infatti un compito che deve accomunare e orientare nella stessa direzione insegnanti, genitori e educatori.

Ho letto e ascoltato in questo periodo di cammino verso il Natale Cristiano varie dichiarazioni sull’opportunità di rispettare i credenti di ogni fede e i non credenti di ogni specie .

Anche un insegnante mi confidava la sua preoccupazione perché il Dirigente vorrebbe proporre dentro l’istituzione un momento di festa natalizia per tutti gli alunni. “Questo non è rispettoso di tutti perché la scuola deve essere laica!” mi ha detto.

Potrei riassumere le molte dichiarazioni in un’affermazione forse rude e incompleta, ma me ne assumo la responsabilità, che potrebbe suonare così: “Per non far torto ad alcuno facciamo torto a tutti”.

Mi è tornato allora alla mente un episodio dell’estate scorsa, che testimonia come i ragazzi assorbano le nostre buone pratiche, o le nostre prevaricazioni, come anche tutti i nostri buonumori, o anche i malumori e le paure.

Non avendo potuto, per eccesso di richieste, accogliere al Doposcuola parrocchiale Nadir (è un nome di fantasia), un ragazzo di famiglia marocchina e mussulmana, ho proposto alla madre di seguirlo per i compiti a casa mia in altri orari. Ricordo sempre l’estrema cortesia e l’educazione con cui il ragazzo si presentava all’appuntamento di studio. Dal togliere le scarpe prima di entrare in casa nei giorni di pioggia, al sincero e non formale “Grazie” al termine di ogni lezione. Non è questo il punto, ma è premessa importante per comprendere che il “rispetto” per l’altro è patrimonio di tutti e non può essere scisso dall’accettazione delle differenze.

Nadir doveva recuperare qualche materia scolastica con gli esami di riparazione, abbiamo quindi ripreso le lezioni durante l’estate per un paio di settimane. Avrebbe dovuto sostenere gli esami il 28 agosto e lo invitai così a far tesoro anche della settimana prima del 15 perché poi sarei stato via da casa fino al giorno 25. Probabilmente non ci siamo intesi bene e per tutta la settimana precedente ferragosto Nadir non si è presentato all’appuntamento. Lo chiamai il 14 agosto per capire la causa della sua mancanza e mi disse che aveva capito l’opposto: che cioè io sarei stato essere assente la settimana prima e non la successiva. “Auguri” gli dissi e “In bocca al lupo per gli esami di riparazione”.

La mattina di Ferragosto alle 8 mi telefonò dicendo che “come d’accordo” stava salendo verso casa mia per la lezione. Per non creare ulteriore imbarazzo gli dissi “Va bene, possiamo fare fino alle 10”. Quando giunse a casa mia non potei evitare di chiarire che avremmo dovuto interrompere la lezione a metà mattina. Essendo giorno di festa cristiana, avrei voluto recarmi infatti alla S. Messa. Fu allora che comprese di essere incappato in una gaffe. Gli spiegai il significato del mistero della “Assunzione” e Nadir avrebbe voluto andarsene subito perché non sapeva che quella giornata fosse importante per noi cristiani.

Per convincermi del suo dispiacimento per quel malinteso e di quanto egli rispettasse le mie convinzioni, mi disse: “Se io rimanessi qui oggi è come se lei venisse a mangiare un grosso panino in faccia a me mentre io sto facendo il Ramadan”. Nadir ha sedici anni e forse per la sua età il Ramadan non è ancora obbligatorio, ma egli ci tiene tantissimo perché il mese di digiuno lo fa sentire grande e importante.

Senza riuscire a sollevarsi dal grave imbarazzo in cui era caduto, dopo varie insistenze accettò comunque di beneficiare di quel paio di orette di lezione come viatico per gli esami imminenti. Annoto ancora, solo per completezza di informazione, che gli esami andarono bene e che fu promosso alla seconda classe superiore.

Certe volte ci ostiniamo a cercare motivi e giustificazioni sui nostri modi di pensare, per riaffermare la nostra storia e la nostra “appartenenza”. Certe volte per fortuna vengono in aiuto “gli altri”, quelli che vorremmo “educare” e verso i quali usiamo l’”appartenenza” per porre dei limiti, delle barriere alla effettiva integrazione. Ho letto questo bella frase del coordinatore delle associazioni islamiche nel Lazio su La Stampa del 29.11.2015. Lo condivido nel mio pensiero e con voi:

«Perché vietare un simbolo?  Non ha senso. Il Natale è simbolo di una civiltà prima che di una religione. In Italia e in Europa la civiltà cristiana ha radici profonde che vanno rispettate e negarle significa non conoscere la storia e chiudere gli occhi davanti alla realtà. Il Natale è simbolo anche per un agnostico e i simboli non danneggiano nessuno. Un uomo è uomo prima di essere musulmano, cristiano o ebreo».
Giampaolo Martinelli

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