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Libri

IL CALCIO CHE C’ERA

GIUSEPPE BATTARINO - 18/12/2015

calcioE’ uscito di recente “Da uno a undici, elogio di un calcio possibile” (Edizione il Gattaccio), libro scritto da Giuseppe Battarino, magistrato scrittore e saggista. Eccone l’incipit e la conclusione.

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La voglia di scrivere qualcosa su com’è cambiato il calcio e come potrebbe tornare a essere è caduta su un terreno già cosparso dei semi del dispetto per chi rompe (o meglio: non è capace di usare) il più bel giocattolo del mondo.

Ho trascorso una normale vita da mediano. Ormai la citazione di Luciano Ligabue è d’obbligo: come l’aspirina agisce ad ampio spettro: vale sia che si parli del campione del mondo Oriali, esplicitamente citato nella canzone, sia che si parli di se stessi, come ho iniziato a fare, senza neanche essere mediano, e senza aver vinto nessun campionato.

Da qualche parte, nella confusione di casa che io penso organizzata (il movimiento di Heriberto Herrera), ho le due medaglie conquistate in sanguinosi tornei; in una specie di poster autoprodotto conservo un guazzabuglio di foto scattate sui campi di Solbiate Arno, Pavia, Varese, Como, Luino, Gallarate e in tornei estivi in Calabria; su www.nazionalemagistrati.it c’è la traccia delle mie due presenze.

Tipo chi nella nazionale vera? Tumburus? no, Paride Tumburus – Bologna, Lanerossi Vicenza – ne ha addirittura quattro: esordio sfortunato in Cile-Italia 2-0, mondiali del 1962.

Belli, i numeri.

Con due presenze e un gol Antonio Valentin Angelillo, uno degli angeles con caras sucias, gli angeli dalla faccia sporca, insieme a Humberto Maschio e Omar Sivori, l’”oriundo” che esordisce insieme a Salvadore e Trapattoni nell’ultima partita giocata in Nazionale da Boniperti.

Altri calciatori con due presenze in nazionale: Aldo Bet e Sergio Santarini, formidabile e non abbastanza valutata coppia di difensori, arrivati alla Roma insieme a Helenio Herrera nella stagione 1968-1969, debuttano, sempre insieme, in Nazionale nel 1971, ma resteranno soltanto un esperimento.

Renato Cappellini esordisce poco meno che ventenne nell’Inter, nel 1963, ma aspetta il 22 marzo 1967 per la prima partita in Nazionale, Cipro-Italia 0-2 a Nicosia; la sua successiva è cinque giorni dopo contro il Portogallo a Roma: sostituisce Riva, gravemente infortunato e segna il gol del pareggio; giocherà le sue ultime stagioni al Como e al Chiasso.

Franco (Ciccio) Cordova, gioca le sue due partite in Nazionale tra l’aprile e il maggio del 1975, contro Polonia e Finlandia, una specie di riconoscimento simbolico dopo duecento partite nella Roma.

Altri ottimi giocatori sono nel club delle due presenze: Oscar (Giuseppe) Damiani, due amichevoli nel 1974; il terzino sinistro della Juventus Gianfranco Leoncini (“il numero 2 era il tenebroso Adolfo Gori, a sinistra giocava Gianfranco Leoncini, che era biondo e bello e di gentile aspetto”, scrive Darwin Pastorin), colonna della difesa dei bianconeri per dodici anni, dal 1958 al 1970, convocato in Nazionale per i Mondiali del 1966, gioca la beneaugurante amichevole premondiale con l’Argentina (3-0) e la partita del girone che perdiamo con l’URSS (0-1) prima di perdere anche quella decisiva con la Corea del Nord.

Carlo Mattrel, portiere, aveva avuto una vicenda simile: esordio in amichevole prima del Mondiale del 1962 in Cile: vittoria sul Belgio per 3-1. Poi titolare contro il Cile (0-2 e rissa globale); la partita successiva (inutile vittoria contro la Svizzera) giocherà in porta Buffon (Lorenzo).

Un altro portiere a due presenze è Roberto Lovati, che riesce a prendere sei gol dalla Jugoslavia a Zagabria nel 1957; l’anno dopo vince la Coppa Italia con la Lazio, e biancoceleste rimane, in campo per altri tre anni, in panchina e nella società per i successivi quaranta.

Quando ho deciso che dovevo smettere di giocare a calcio ho avuto occasione di farlo togliendomi una soddisfazione a cui avevo pensato da molti anni: l’ultima partita l’ho giocata insieme a mio figlio Lorenzo.

E’ stato ammesso, neanche quindicenne, nella squadra di Luino giudiziaria, che nel 2003 ha battuto Varese giudiziaria per 3-2. Una vittoria un po’ più “moderna” di quella della precedente sfida del 2002, che era finita 2-0 con un gol in contropiede al 10’ del primo tempo, settantacinque minuti giocati nella nostra metà campo e un gol in contropiede al 40’ del secondo tempo.

Nella foto in copertina io sono il 3 e lui il 5. Normale per me che ho quasi sempre giocato da terzino sinistro.

A lui dicevano che giocava “centrale difensivo” o “laterale”.

Quando andavo a seguire le sue partite del campionato Allievi e di quello Juniores lo vedevo giocare da terzino destro oppure, quando la partita, gli infortuni o l’estro dell’allenatore lo richiedevano, da libero.

Fino a vent’anni fa c’erano questi ruoli, scritti sui giornali, sugli almanacchi del calcio, negli album di figurine, raccontati alla radio e alla televisione: portiere, terzino destro, terzino sinistro, mediano, stopper, libero, ala destra, mezzala destra, centravanti, mezzala sinistra, ala sinistra.

Da uno a undici.

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Qualcuno afferma che il fattore unificante della nazione è la lingua italiana così come gli italiani l’hanno imparata dalla televisione e dalla Gazzetta dello Sport.

Ma anche il Super Santos ha il suo ruolo.

Intanto a questo pallone di plastica arancione con grafica nera va riconosciuta una qualità produttiva notevole.

Ha il peso giusto per le partite con i maglioni o gli zaini come pali.

Reagisce al tocco amatoriale sia di chi dà del tu al pallone (o meglio: vocé a la bola) sia degli epigoni da strada del Padova di Rocco.

Ha traiettorie e rimbalzi abbastanza prevedibili sulla spiaggia, sull’asfalto, sui prati di montagna.

Per le ambizioni controllate dei calciatori diffusi, la simulazione di cuciture di un pallone tradizionale resa dalle righe nere e dalle leggere scanalature sulla superficie è confortante; e la pelle d’oca della superficie del Super Santos dà un sottile piacere quando si batte una rimessa laterale – se è partitella – o lo si piazza per un rigore – se si gioca a rigori – o lo si tiene tra il polso e il fianco in attesa di decidere.

Il maradonino solitario lo usa sapientemente per palleggi prolungati collo-collo-coscia-collo-testa.

Persino sgonfio, persino bucato, un Super Santos abbandonato in un prato o nel campetto di un oratorio può essere l’inizio di una mezzora di divertimento.

In tutto il territorio nazionale grappoli di Super Santos nelle loro reticelle attendono che i cittadini della Repubblica vivano momenti collettivi: sempre che le microformazioni sociali e calcistiche radunate intorno alla palla arancione non incappino nel “veneziano” che non la passa mai e magari dopo avere dribblato anche se stesso conclude con una cannonata che la fa finire in territori altrui (“palla! pallaaa!”) o perdere in invisibili regioni segnando la fine della partita.

Ma potrà accadere che a distanza di tempo, dal cespuglio inesplorato, l’arancione occhieggi per un bambino, che se lo porterà a casa e ci scriverà sopra il suo nome in stampatello.

 

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