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Attualità

I MAESTRI URBANI

OVIDIO CAZZOLA - 28/01/2012

Nel 1962 quarantasette architetti si trasferiscono dall’Ordine interprovinciale degli architetti di Milano al neonato Ordine della provincia di Varese. Nel gennaio 2012 duemiladuecentosessantatre architetti fanno parte di questo Ordine.

Ero tra i quarantasette iscritti del 1962. Il cinquantesimo mi prende un po’ alla sprovvista. Quanto tempo è passato!

Quanti ricordi di colleghi che abbiamo perduto, di battaglie culturali e professionali affrontate con esiti diversi, positivi e negativi, ma che dovevano essere affrontate, che fanno parte della storia delle nostre comunità urbane.

Gli anni ’60 e ’70 sono stati anni di grande attività edilizia e di forte impegno professionale. A Varese il Piano regolatore, approvato alcuni anni prima, aveva favorito una eccessiva edificazione diffusa con incidenza spesso negativa sull’immagine della città. Negli anni ’60 ero assessore nel Comune di Varese alla Pubblica Istruzione e potevo percepire l’entità dell’immigrazione dal Sud per il forte aumento della popolazione scolastica. Ricordo che feci costruire o ampliare più di venti scuole cittadine.

Furono creati nuovi quartieri: a San Fermo per quattromila abitanti e, a seguire, alle Bustecche. Anche varie organizzazioni sociali, come le ACLI, realizzarono progetti di nuovi quartieri. I progettisti, architetti o ingegneri, erano pochi e c’era lavoro per tutti. Venivamo in gran parte da una formazione avuta nel Politecnico di Milano: poco più di cento frequentanti per ognuno dei cinque anni (oggi sono circa tremila per anno): i docenti erano notissimi, affermati architetti milanesi che avevano, giovanissimi, percorso gli anni difficili dell’anteguerra durante i quali il regime fascista sembrava loro in consonanza con gli sviluppi dell’architettura moderna razionalista. Una illusione che finì con l’affermazione del nazismo in Germania, la deportazione e la morte per alcuni di loro.

Il lavoro professionale ci entusiasmava, i riferimenti rimanevano in particolare i progetti dei nostri ‘maestri’ milanesi’. Rogers, Albini, Gardella fra gli altri. L’Ordine vigilava soprattutto sul comportamento corretto degli iscritti, sull’applicazione corretta della tariffa professionale.

A Milano si costituiva la Consulta degli Ordini Lombardi che avevano ormai tutti realizzato la propria autonomia.

La Consulta avviava una opportuna collaborazione con la facoltà di Architettura del Politecnico.

Ho avuto personalmente la fortuna, di cui ringrazio i colleghi di allora, di fare il presidente di questo nostro Ordine e il presidente della Consulta lombarda negli anni ’80. E sono stato testimone, in qualche modo diretto, di un indebolirsi dell’indipendenza della professionalità.

Si stava infatti avviando allora, e se ne rilevavano le prime avvisaglie, un deterioramento dell’attività politica che si inseriva sempre più nell’ambito dell’attività immobiliare coinvolgendo secondo le convenienze la nostra professione.

Si era arrivati infine, nei primi anni ‘90, nel pieno di ‘tangentopoli’ e alla crisi del sistema esistente dei partiti.

Il ribaltamento politico che si verificò consentì di far emergere, come succede in questi casi, competenze capaci di innovare.

Così è avvenuto a Varese, che ha avuto la fortuna di vedersi offerta una profonda revisione del Piano regolatore per opera della società bolognese ‘Oikos’, successivamente, purtroppo, compromesso da una gestione politica inadeguata.

Una nuova concezione della pianificazione territoriale contenuta in particolare nella legge regionale n.12/2005, sta tuttora impegnando molti Comuni, in notevole ritardo (come Varese), nella stesura dei Piani di Governo del Territorio (PGT). Non sta ancora emergendo, per la nostra Provincia, la consapevolezza del consolidamento ormai avvenuto di conurbazioni che richiederebbero una capacità di progettazione attenta alle esigenze di prospettive sociali, culturali, economiche. È ormai chiaramente evidente una fascia prealpina nord e un’altra esposta alla espansione milanese a sud.

Una diffusa, miope realtà amministrativa locale affida quasi sempre incarichi pianificatori (e non solo) per appartenenza politica, trascurando le proposte di merito.

Si tratta di una grave carenza culturale, di una rinuncia a un impegno corretto per il bene comune.

In queste condizioni i duemila architetti del nostro Ordine sopravvivono. Come iscritto ‘nativo’ li invito a non arrendersi, a consociarsi, a proporre senza timori i valori della cultura, della bellezza, della competenza in ogni sede.

A progettare architettura con la consapevolezza che la nostra passione deve oggi essere estesa alla costruzione di un futuro di bellezza delle città e del territorio, nella valorizzazione della la nostra storia, attraverso anche una pianificazione di qualità.

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