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Società

SOLIDARIETÀ TUTTO L’ANNO

FRANCESCO SPATOLA - 23/12/2015

Lo spirito del Natale trasuda solidarietà, ma passata la festa è spesso gabbato lo santo. La buona volontà del momento serve soprattutto al volenteroso per sgravarsi la coscienza, più che al bisognoso per recuperare dignità. Finita la grancassa delle Primarie, tutto tace sotto l’albero benché poco manchi a correre per le elezioni vere: se la politica non è rincorsa alle poltrone ma impegno per il bene comune, occorre che il Natale non sia solo una pausa vacanziera ma anche stimolo potente, religioso per i credenti e morale per tutti, ad impegnarsi per il benessere sociale diffuso. Quindi serve che la buona disposizione natalizia rinnovi un atteggiamento costante e durevole di costruzione di una comunità solidale, dove tutti stiano bene: che la solidarietà sociale duri tutto l’anno, traducendosi in un organico sistema di welfare locale, responsabilità condivisa dai cittadini e non mero compito istituzionale dei servizi comunali deputati.

Come costruirlo? E quali indicazioni per l’Amministrazione Comunale che verrà? Anzitutto, aver presente che il welfare comunale, il benessere sociale della città, dipende dalle condizioni di civiltà urbana in cui vivono i cittadini, dai fattori di contesto prima che dagli interventi di assistenza sociale del Comune.

Buone relazioni familiari, una casa confortevole, un lavoro dignitoso e un reddito sicuro, una scuola che educa e funziona, la sanità efficiente, il vicinato solidale, la possibilità di amicizie a largo raggio, le occasioni culturali e di divertimento, l’ambiente naturale salubre e gradevole, la bellezza del centro edificato, il traffico scorrevole … sono tutti fattori che fanno star bene in società, nella comunità cittadina.

Quindi il welfare comunale è, innanzitutto, l’effetto complessivo del buon governo della città, di un tessuto sociale sano e coeso, di una città che sia comunità. Per questo il primo e fondamentale intervento sociale è l’unitarietà dell’azione di governo in direzione sociale. La collegialità della Giunta dovrà essere il primo impegno di un Sindaco, affinché l’azione di governo assuma l’ottica sociale, cerchi di vedere sempre la finalità sociale e gli effetti sociali delle politiche comunali: dall’urbanistica all’edilizia, dalle infrastrutture all’ambiente, al lavoro, alla mobilità, alla cultura, allo sport, alla sicurezza, ai tributi e alle tariffe, al commercio, alle scuole …

E subito dopo è essenziale rafforzare lo spirito comunitario, l’energia sociale della comunità, con attività di prevenzione e promozione sociale. Prima che emergano i punti di debolezza del tessuto sociale, occorre sostenere e potenziare i punti di forza, a partire dalla famiglia, dalla scuola e dalla vita comunitaria nei rioni.

Il Comune di Varese presentava come fiore all’occhiello il Piano ANTARES di prevenzione del disagio sociale dei minori, delle famiglie, delle comunità rionali: in epoca di pessimi tagli lineari, il Comune ha praticamente azzerato il budget finanziario (circa 300.000 Euro) e si è ridotto a chiedere l’elemosina alle Fondazioni bancarie per recuperare qualche soldo. Ha così annullato una positiva tradizione di prevenzione, che contenendo i rischi di disagio “a monte” riduceva i rischi di spesa per assistenza sociale “a valle”, quando è noto che 1 Euro speso in prevenzione ne risparmia 10 in assistenza.

E a causa dei tagli lineari sono stati bloccati anche i “tavoli di sviluppo di comunità” nei rioni (San Fermo, Biumo Inferiore, Belforte, Bustecche), fondamentali per promuovere la partecipazione di gruppi, associazioni, istituzioni scolastiche e religiose nell’animazione comunitaria del rione, condividendo analisi dei bisogni, iniziative, risultati, e facendo circolare l’energia sociale della comunità. Benefico effetto sociale di cittadinanza attiva, che può essere ampliato a tutte le problematiche civiche creando forme vincolate di partecipazione nelle diverse zone della città.

Analoga funzione di prevenzione svolgono i Centri di Incontro per anziani (via Maspero, Biumo Inferiore, Avigno, San Fermo), che devono essere moltiplicati, almeno nei rioni più popolosi; e vanno ampliate le attività socialmente utili che mantengono attivi i pensionati (110 a Varese, 1500 a Reggio Emilia). Devono essere sostenuti con intelligenza i Circoli popolari, come anche gli Oratori e le associazioni in genere, per l’importante funzione di aggregazione e socializzazione che svolgono, cercando di creare con essi una rete sociale che favorisca l’agio delle persone e prevenga il disagio, l’isolamento, l’emarginazione.

Si vede in questo l’importanza di quello stesso ruolo di regia intelligente che si richiede al Comune nel campo della cultura: non governo dirigistico, ma governance abile: capacità di dialogare, negoziare, collaborare tra pubblico e privato con il coordinamento pubblico, discreto ma fermo e responsabile.

Nella stessa logica di creare le condizioni per costruire il benessere ed evitare il malessere va l’orientamento all’accessibilità sociale dell’abitazione, dall’agevolazione dell’edilizia convenzionata alla costituzione dell’Agenzia della Casa, mista pubblico-privato, per far tornare sul mercato dell’affitto le migliaia di abitazioni private non occupate (ca. 4.000), garantendo i proprietari su cura manutentiva e regolarità di pagamento locativo e sostenendo gli inquilini in difficoltà a superare la morosità incolpevole.

Certo la prevenzione non basta, perché le aree di fragilità sociale sono inevitabili e comportano comunque interventi assistenziali di riparazione dei mali subiti: a favore di minori e famiglie per le crisi familiari, a favore dei giovani a sostegno della loro maturazione alla cittadinanza adulta, a favore dei disabili per lo svantaggio sociale, a favore degli anziani per la non autosufficienza, a favore delle persone in condizione di povertà ed emarginazione, anche per la condizione di straniero immigrato. E alle politiche di assistenza sociale va data priorità nel bilancio comunale, dove già oggi pesano per l’11,5% delle spese correnti (ca. 11 milioni di Euro su 96,6).

Il rispetto della dignità della persona impone che principio-guida dell’assistenza sia quello di “aiutare ad aiutarsi”: non la catena dell’assistenzialismo, da cui non ci si libera mai, ma il sostegno a chi è finito per terra affinché si rialzi appena possibile e torni a camminare da solo. E aiutare nella reciprocità: chi riceve un aiuto, deve poterlo restituire alla comunità che lo aiuta, secondo le risorse che ha e che ha recuperato grazie all’aiuto ricevuto. Si chiama welfare generativo, perché non si limita a consumare risorse ma le rigenera di continuo, ricreando dignità nelle persone e favorendo la sostenibilità economica e organizzativa dell’azione assistenziale.

Nell’area del sostegno a minori e famiglie fragili si può vedere bene questa logica, che è tipica dell’approccio Multifamily, derivato dal Servizio Sociale inglese: famiglie multiproblematiche con figli difficili, vengono inserite in gruppi di auto-mutuo-aiuto con momenti periodici di vita comune, e paradossalmente riescono ad aiutarsi ad uscire dai problemi grazie al confronto reciproco, quando ciascuna di esse da sola non riusciva a venirne fuori. Il sostegno guidato del Comune a questi gruppi è infinitamente meno costoso che gli interventi tradizionali di ricovero in comunità, per sottrarre il minore a rischi di pregiudizio per la sua salute psico-fisica ed esistenziale, e infinitamente più efficace nel risanare non solo la situazione personale dei minori ma anche quella delle loro famiglie.

Così nell’area del sostegno ad anziani non autosufficienti, che già oggi costa ca. ¼ del budget sociale comunale, l’invecchiamento progressivo della popolazione è un fattore potenzialmente esplosivo di problematiche familiari e incidenza economica: il 25% della popolazione supera i 65 anni, gli “over 75” si avviano verso il 15% e gli “over 85” verso il 10%, con forti ricadute assistenziali.

Certamente va apprezzata l’attività della Fondazione Molina, che è un’eccellenza di Varese e che ospita già un centinaio di nostri anziani; ma è l’ultima spiaggia, bisogna fare di tutto per mantenere gli anziani a casa, nell’ambiente familiare e di vicinato, sia per ragioni di benessere personale che per ragioni economiche. Assai meno costosa del ricovero è l’assistenza domiciliare, che va potenziata rispetto ai 100 assistiti attuali. Ma soprattutto vanno aumentati i distaccamenti di Centro Diurno Integrato per anziani non autosufficienti nei rioni, inseriti dentro i Centri d’Incontro per anziani autosufficienti, che permettono ai non autosufficienti di passare alcune ore della giornata fuori dalle mura domestiche, socializzando tra loro e con gli altri anziani, beneficiando di quella potentissima terapia che è la normalità delle relazioni sociali.

Nell’area dei disabili, in forte crescita numerica, va favorito l’inserimento scolastico e soprattutto lavorativo, prevedendo quote di riserva negli appalti pubblici a favore delle cooperative esperte: contrariamente all’opinione diffusa, se l’inserimento lavorativo è ben fatto, non solo il Comune risparmia i sussidi e il disabile acquista dignità, ma il rendimento produttivo può essere superiore ai normodotati. E va sostenuta l’attività delle strutture specializzate, diurne e residenziali, che il privato sociale ha realizzato con livelli di eccellenza, come alla Fondazione Piatti e all’Anaconda.

Nell’area degli adulti in condizione di marginalità, “aiutare ad aiutarsi nella reciprocità” significa sostituire il più possibile i sussidi economici con l’avviamento al lavoro e le attività socialmente utili, anche a favore di detenuti ed ex detenuti, scommettendo sul fatto che nessuno è irrecuperabile.

Per gli stranieri immigrati (oggi 11%), l’integrazione è l’aiuto che si dà loro ma si dà anche a noi stessi, per una convivenza civile di reciproco arricchimento: dalla scuola al lavoro, ai rapporti di vicinato, a buone relazioni con le comunità rappresentative, la comune cittadinanza varesina può essere il fattore di successo per una presenza che ringiovanisce la città e la rende più vivace e interessante. Nel rispetto delle leggi e a partire dai bambini e dall’inserimento scolastico, potenziando i progetti di mediazione culturale e intercultura, sino all’accoglienza rigorosa dei profughi, dove si deve avere il coraggio di replicare i progetti di attività socialmente utili per la città, sperimentati in passato e poi abbandonati per la “paura di pancia” e il cinico calcolo della propaganda leghista.

Da fare ce n’è, con spirito innovativo e creativo: lo spirito del Natale, appunto.

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