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Spettacoli

SCOLA, ULTIMO MINIMALISTA

MANIGLIO BOTTI - 29/01/2016

scolaEttore Scola, che qualche settimana fa ci ha lasciato all’età di 84 anni, era un grande della cinematografia italiana, alla pari di un Fellini, di un Visconti, di un De Sica, di un Monicelli? La domanda potrebbe apparire retorica, e forse anche banale, ma lo è fino a un certo punto. E presto vedremo perché. Ma la risposta non può che essere la seguente: sì. Ettore Scola era un grande. E il suo non esserci più fa apparire oggi il nostro cinema più povero. Gli mancò il grande riconoscimento americano, quello dell’Oscar, come a Visconti e a Monicelli, anche se ebbe più d’una nomination e fu vincitore a Cannes. Perché pochi come lui – forse lui soltanto – hanno saputo scavare nel cinema – o tout court, nell’arte – il “mondo del particolare”, più che indagare sulle categorie universali dell’esistenza.

Non è un caso che il titolo di uno dei film più celebrati di Scola fosse proprio “Una giornata particolare” (1977), dove sullo sfondo della visita a Roma di Hitler con Mussolini, nel 1938, si consuma un rapporto proibito tra una casalinga – Sophia Loren – e un ex dipendente dell’Eiar – Marcello Mastroianni –, licenziato in quanto in odore di omosessualità. Un evento universale, e doloroso, e una giornata particolare, particolarissima, quasi minimalista. Così come “C’eravamo tanto amati” (1974), un altro film molto famoso, che racconta un po’ la storia del nostro Paese: dai giorni della Resistenza all’epoca degli anni Settanta, quella in cui appunto è ambientata l’opera. Trent’anni di storia importante, narrati con le vicende e i destini – non eccelsi, dopo tante speranze, anche se c’è tra loro chi s’è saputo accontentare – di personaggi che si potrebbero ancora definire minimalisti: Gianni, Antonio e Nicola.

Ma i film di Scola erano soltanto all’apparenza “sotto tono”, tanto importante era la cura con i quali venivano presentati – anche l’opera meno ricercata – e con un coinvolgimento degli attori più noti degli anni Sessanta e Settanta: innanzitutto la cinquina d’élite – Gassman, Mastroianni, Manfredi, Sordi e Tognazzi – e le attrici, le più brave: Sophia Loren, Monica Vitti, Stefania Sandrelli…

Scola sapeva ricostruire ogni mondo italico con una conoscenza stupefacente: dei caratteri particolari, soprattutto, s’è detto, ma anche infine, come diretta conseguenza, generali e originali. Pensiamo a “Il commissario Pepe” (1969). Il ritratto che Ugo Tognazzi con ordinarietà e pacatezza delinea di questo poliziotto è una sorpresa per gli spettatori, coinvolti – proprio a cominciare dalla fine degli Sessanta – in una cupa atmosfera che poi sarebbe sfociata negli “anni di piombo”. Il film tratta di un’indagine, in una città emblematica della provincia italiana, nel caso Vicenza, mentre Signore&Signori, capostipite di genere, di Pietro Germi, era ambientato in una riconoscibilissima Treviso. Alla fine dell’indagine, salvi tutti gli inquisiti del verminaio provinciale, a rimetterci saranno solo una giovane prostituta, mantenuta da un gruppo di liceali, e forse lo stesso commissario.

Pensiamo a “Dramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca” (1970) dove già il titolo è un programma con i tre protagonisti Oreste, Nello e Adelaide (Mastroianni, la Vitti e Giancarlo Nannini), tormentati dalle loro pene d’amore, sono tre “badilanti” delle feste dell’Unità del Pci. Interessante in quest’ultimo film il linguaggio degli attori, nella formidabile sceneggiatura, tipico delle riviste-fotoromanzo, quasi uno studio lessicale. Perché Ettore Scola, oltretutto era anche un grande sceneggiatore (spesso in collaborazione con gli amici Age & Scarpelli, al secolo Agenore Incrocci e Furio Scarpelli, o con Ruggero Maccari o Bernardino Zapponi).

Dei film memorabili di cui Scola fu cosceneggiatore ricordiamo – con una scelta limitata – “Un americano a Roma” (1954), di Steno; “Adua e le compagne” (1960), di Pietrangeli; “Il sorpasso” (1962) di Dino Risi; “La marcia su Roma” (1962), ancora di Risi; “I complessi” (1965) di D’Amico, Risi e Rossi; “I nuovi mostri” (1977) di Monicelli, Risi e dello stesso Scola… Una passeggiata tra gli anni Cinquanta e Settante e oltre, spaziando in ogni genere, dalla commedia e il film leggero al dramma.

C’era una conoscenza di Scola, della nostra realtà, che va oltre l’impegno e entra nell’intimità, nel realismo. Pensiamo, ancora, per esempio, alle “fotografie” delle case: dal casermone popolare romano del fascio in “Una giornata particolare”, all’appartamento in affitto del “Commissario Pepe” con la governante mantovana che si addormenta davanti alla tv mentre trasmette immagini di disordini nelle piazze e si sveglia nel momento in cui il poeta Ungaretti recita una sua poesia; dalla casa avita e borghese del film “La Famiglia” (1987), alle bindonville di periferia di “Brutti, sporchi e cattivi” (1976). Quasi una ripresa – con la fantasia – di immagini quali si immaginano passando la mattina presto con un treno davanti ai caseggiati primi anni Sessanta costruiti vicino alle stazioni, e sembra di sentire le sveglie che suonano, di vedere le mamme che vanno a tirar su dal letto i figli per mandarli a scuola, i papà che fanno una colazione frettolosa… L’Italia vera, silenziosa, minuta.

Ettore Scola era anche un militante politico, un iscritto al Pci. Serio e tutto d’un pezzo. S’è letto che una volta, chiamato dagli studi di Mediaset, respinse l’offerta di partecipare a una trasmissione, perché non si voleva mischiare con le televisioni di Silvio Berlusconi. Ma – a parte alcuni lavori, compreso il documentario “Addio a Berlinguer” (1984), e anche “Trevico-Torino–Viaggio nel Fiat-Nam” – non si può affatto affermare che la sua opera fosse ideologizzata. Non nel senso di sostegni “trinariciuti” all’Est europeo e nemmeno, in modo più studiato, di appropriazioni egemoniche in un ambiente culturale di tipo gramsciano. Come a dire che il film, a Scola, quasi sfuggiva di mano per dimensionarsi solo nell’arte. A volte con sereno distacco, a volte con ironia, a volte con un’ineludibile malinconia.

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