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Cultura

L’ULTIMA CENA DEL MAGATTI

PAOLA VIOTTO - 12/02/2016

 

“In questo anno 1725 nel refettorio de’ PP riformati dell’Annunciata il sig. Pietro Antonio Magatti ha dipinto il Cenacolo ed il sig. Baroffio ha fatto l’architettura intorno al pulpitino”.

Così la Cronaca di Varese dell’Adamollo segnala i lavori fatti all’antico convento dei Cappuccini da due dei maggiori pittori varesini del Settecento. L’Ultima Cena, che si credeva irrimediabilmente perduta, è riemersa nei mesi scorsi durante i lavori di ristrutturazione di uno stabile in via Medaglie d’Oro, restituendoci così, per quanto appaia oggi frammentaria e in cattive condizioni, un’importante testimonianza del patrimonio artistico della città.

Il convento francescano dell’Annunciata, uno dei più grandi di Varese, sorgeva nell’area compresa tra l’attuale caserma Garibaldi e la stazione delle Ferrovie dello Stato. Era stato fondato nel Quattrocento, quando i cittadini di Varese, mossi dalla predicazione di San Bernardino da Siena, offrirono il terreno per costruirlo, in una zona che allora era ai margini del borgo. La prima pietra fu posta il 15 agosto 1468, su iniziativa del padre Cristoforo Piccinelli; l’anno successivo venne donato ai francescani dell’Osservanza di Milano, a cui subentrarono alla fine del Cinquecento i francescani riformati. La chiesa era ornata di affreschi quattrocenteschi sulla parete del tramezzo che separava il coro dai fedeli, con una soluzione del tipo di quella che si può ancora vedere oggi in Santa Maria degli Angeli a Lugano o in San Bernardino di Ivrea. Negli anni si arricchì di quadri e di sculture dei più importanti artisti varesini. Ai primi del Settecento era in fase di ristrutturazione: lo stesso Adamollo ricorda che nel 1725 si stava anche modificando il coro della chiesa, mentre Baroffio e Magatti oltre a lavorare nel refettorio stavano anche affrescando il chiostro. Come loro abitudine il primo si occupava delle architetture illusionistiche e il secondo delle figure. Evidentemente la loro opera piacque ai frati, che nel 1727 li chiamarono nuovamente per affrescare le cappelle della Via Crucis.

Fu questo l’ultimo momento di splendore del glorioso complesso: meno di un secolo dopo, nel 1810, il convento venne soppresso in seguito alla leggi napoleoniche e venduto a Vincenzo Dandolo. La chiesa fu demolita e le opere d’arte mobili vennero disperse, approdando in parte in altre chiese di Varese. Il convento venne trasformato in villa, demolendo gran parte del chiostro e modificando radicalmente gli ambienti; gli affreschi furono coperti da nuove decorazioni. Finita la stagione dei Dandolo la villa fu più volte modificata, rialzata, trasformata in scuola, occupata in parte da un’officina meccanica. Negli ultimi anni si era ridotta a un rudere coperto di vegetazione, sulla cui importanza storica, dimenticata dalla città, si era anche svolto nel 2011 un convegno organizzato dall’International Research Center for Local Histories and Cultural Diversities dell’Università dell’Insubria e dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Milano.

Iniziata la ristrutturazione, un poco alla volta sono venute alla luce tracce insperate dell’antico complesso. In quello che era il braccio del chiostro addossato al corpo del convento sono emersi soltanto alcuni brani degli affreschi segnalati dall’Adamollo. Non c’è più traccia del pulpitino del Baroffio, da cui durante i pasti un frate a turno leggeva ai confratelli i testi biblici. Ma i saggi compiuti dal restauratore Piero Lotti su quella che era la parete di fondo del refettorio hanno fatto riemergere da sotto uno strato informe di pittura beige parti significative dell’Ultima Cena di Magatti. Il volto di Cristo, innanzitutto, al centro della composizione di cui costituiva il fulcro. La sua figura, in parte rovinata dall’inserimento di un camino, era seduta dietro una lunga tavola, coperta da una tovaglia bordata di rosso. Proprio su questo bordo il pittore ha firmato e datato l’opera ed è ancora possibile leggere con chiarezza ANNO SANTO, a ricordo del Giubileo del 1725. All’estrema sinistra si vede un altro volto molto bello, con tutte le caratteristiche di un ritratto: quello di un Apostolo barbuto, che guarda in direzione di Cristo con un misto di preoccupazione e sorpresa. Degli altri si vedono soltanto alcuni particolari: un piede in primo piano, una mano alzata in un gesto di stupore. Ben visibile invece la figura di un giovane cameriere, un ragazzo rappresentato di spalle in primo piano, con un largo vassoio sotto braccio.

Difficile al momento capire come fosse strutturata la composizione, e se il pittore avesse voluto focalizzare il momento dell’istituzione del Eucarestia, o piuttosto quello del tradimento di Giuda, soggetto più adatto ad un refettorio.

Può essere utile un confronto con L’Ultima Cena dipinta sempre da Magatti nel 1726 per le Romite Ambrosiane del Sacro Monte, dove gli Apostoli si affollano intorno alla tavola alzandosi anche in piedi per essere più vicini al gruppo centrale, dove Giuda mette la mano nel piatto comune, mostrando così di essere il traditore. Molte sono le somiglianze, in particolare nel volto di Cristo, ma molte anche le differenze, perché manca ad esempio la figura del servitore. Occorrerà quindi aspettare la conclusione del restauro e il nuovo convegno con cui nei prossimi mesi la nuova scoperta verrà presentata al pubblico.

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