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Spettacoli

TRA NINA E MINA

BARBARA MAJORINO - 26/02/2016

zilliCi risiamo. Ogni volta che spunta all’orizzonte musicale una nuova voce femminile, eccola venire indicata con la solita bene augurante etichetta di “nuova Mina”. Succede quasi sempre, ma non si realizza mai.

Nina Zilli, che abbiamo vista ospite nello show di Massimo Ranieri del sabato sera “Sogno e son desto” per quattro puntate, ha una bella voce, ma dal timbro profondo e graffiante nello stile delle cantanti blues afro-americane. Il suo registro vocale è il contralto. Non dimentichiamo infatti che ha adottato il nome d’arte di Nina in omaggio a Nina Simone, cantante e pianista blues, soul, jazz. Viceversa il registro vocale di Mina è stata definito soprano drammatico d’agilità, pur non avendo l’impostazione accademica del soprano classico uscito dalle scuole di Lirica.

Il suo strumento vocale, pulito, personalissimo, subito riconoscibile, è dotato di straordinaria ampiezza, estensione, agilità, capace di coniugare potenza vocale con la duttilità, ed è sostenuto da una tecnica saldissima. Mina si distingue anche per le doti interpretative di ecletticità che l’hanno portata ad affrontare con successo generi musicali spesso lontani e perfino in antitesi tra loro (dalla canzonetta allegra e spensierata, a quelle più drammatiche e impegnative; da pezzi jazzistici composti da Luttazzi e Canfora, alla bella melodia tipicamente italiana. Si pensi allo spot pubblicitario firmato da Scorsese per Dolce & Gabbana, voluto sulle note di una sempreverde “Il cielo in una stanza”, note che vanno in giro per il mondo).

Ma torno a Nina Zilli che ha certamente delle grandi peculiarità ed è anche autrice dei suoi pezzi, anche se, a mio avviso, non dovrebbe reinterpretare i successi di Mina (“Mi sei scoppiato all’improvviso…” e “L’ultima occasione”, presentate allo show di Ranieri), perché, fatalmente, scatta il raffronto.

Quando ha intonato “Mi sei scoppiato all’improvviso nel cuore” insieme a Massimo Ranieri chiunque avrà constatato un po’ dubbioso: ” Brava. Bella interpretazione, ma cosa le manca per poter uguagliare Mina?”. Innanzitutto la personalizzazione che Mina ha saputo fare dei suoi successi, fino a rendere le canzoni, sue creature inscindibili da lei e dal suo personaggio. Insomma, una sorta di copyright esclusivo. Uno sente attaccare la bella canzone di Canfora-Wertmuller che inizia piano e sale via via… in crescendo:

“Era/solamente ieri sera/io parlavo con gli amici/scherzavamo tra di noi”…./e tu…” E che si immagina? Una Mina avanzante piano piano come la Gradiva, fasciata in un abito di lamé che spalanca le braccia come se queste fossero vettori del suono e del canto da propagare in giro.

Purtroppo per la Zilli, non aiutano all’oblio, i filmati in bianco e nero più volte ripetuti sulla Rai per la sapiente regia di Antonello Falqui, di Mina con il suo look sartoriale e il suo singolare trucco che la rendono divistica. Tutto ciò, insieme alla canzone, resta per sempre impresso nella memoria collettiva degli Italiani. C’è poi quella voce limpida, priva di forzature, che sgorga spontanea e che non sembra essere nemmeno il frutto di grandi sacrifici.

È quella che lo scrittore Raffaele La Capria chiama “la distrazione”. Che cos’è? Quella sua particolarissima capacità di “distrarsi” dal pubblico, entrando direttamente nella musica senza mai esserne direttamente soggiogata, fondendosi con gli strumenti orchestrali. In Mina non compare mai lo sforzo dell’artista che cerca di essere all’altezza della sua rappresentazione e della prestazione canora in atto. Come direbbe Dalì “il genio è al di là della sofferenza”. Tutto questo, mentre altre artiste canore, seppur brave, soffrono un po’ come quelle atlete che devono conseguire un difficile traguardo.

Nina Zilli, come è noto, si è distinta con la sua apparizione a Sanremo 2010 nella sezione Nuova Generazione con la canzone di sua composizione “L’uomo che amava le donne” che le valse il premio della critica Mia Martini. Poi ebbe numerose altre soddisfazioni artistiche nella canzone “50mila lacrime” inserita nel film di Ferzan Ozpetec “Mine vaganti”. La rivediamo a Sanremo duettare con Mauro Ermanno Giovanardi dei La Crus in “Io confesso”, e interpreta poi “L’amore è femmina” all’Eurovision Song Contest del 2012 (l’Eurofestival della canzone). Nell’edizione sanremese dello scorso anno la ritroviamo in “Sola”, un blues scritto da lei stessa.

È una bella donna, ha una forte presenza scenica, ma dovrebbe abbandonare quelle acconciature alla Amy Winehouse. Ha il privilegio di essere bilingue, avendo vissuto in Irlanda per un periodo della sua vita. Pertanto ha le carte in regola per ottenere successo internazionale.

Ma ecco il punto… Al suo posto lascerei un po’ da parte i blues che, descrivendo sempre la “mancanza di qualcosa”, finiscono col rendere pesanti i pezzi da lei interpretati. “Blues” proviene da un’espressione elisabettiana che sta per “To have the blue devils” (averci in diavoli blu, cioè le paturnie. Ovvero, essere in preda alla malinconia). È una musica assai suggestiva, ma piuttosto ripetitiva. Non si può essere sempre malinconici nella vita come nelle canzoni. Ci sono (e devono esserci) anche canzoni che comunicano allegria, spensieratezza, ironia, giocosità, gioia di vivere. E una come lei può comporle e cantarle.

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