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Editoriale

SALVEZZA

GIAMPAOLO COTTINI - 25/03/2016

pasquaIl Cristianesimo nasce storicamente con l’avvenimento della Pasqua: infatti, fino al giorno della resurrezione i discepoli di Gesù non avevano compreso nulla della novità di quanto era loro capitato. La tragedia della Croce sembrava loro piuttosto la prova più eloquente del fallimento dell’epoca messianica di liberazione che Gesù sembrava voler inaugurare.

Se pensiamo che la sera stessa della resurrezione i discepoli di Emmaus piangevano per la morte del loro maestro, quando la mattina di Pasqua le donne avevano trovato il sepolcro vuoto, annuncio eloquente della definitiva vittoria della vita sulla morte ed inizio della nuova creazione di cui la comunità dei discepoli sarebbe stata il primo segno, possiamo ben capire quanto poco fosse evidente ancora ciò che era accaduto nella notte di Pasqua.

La novità della vittoria di Gesù sulla morte irrompeva nella storia come un’energia prorompente capace di investire tutta l’umanità, introducendo qualcosa di assolutamente diverso rispetto alla convinzione dell’immortalità dell’anima, di cui già aveva parlato la cultura greca per dare spiegazione della sussistenza di frammenti dell’io dopo la morte. Era, insomma, in gioco l’intera persona, nella sua unità indissolubile di anima e corpo, che in Gesù partecipava alla vita nuova, senza che si potessero confondere il sepolcro vuoto con il fenomeno di morte apparente o di rivitalizzazione di un cadavere.

La Chiesa nasce così Duemila anni fa con il contraccolpo di questo stupore, ma oggi cosa dice la resurrezione a noi uomini disillusi e scettici, così incapaci di andare al di là delle immediate apparenze per mettere a tema l’unica questione seria dell’esistenza, cioè la domanda sulla salvezza? Forse ci è più facile e familiare commuoverci per la dolcezza del Natale che richiama l’inizio della vita e la speranza di amore e di pace impressa nel volto del bambinello, mentre è più impegnativo capire in tutta la sua imponenza la novità contenuta nello sconvolgente annuncio che risuona nella notte di Pasqua e che parla del duello tra vita e morte, culminato nella definitiva vittoria della vita nella luce della Resurrezione. E risorgere significa che la potenza di Dio fa vivere in modo nuovo anche la corporeità, se è vero che Cristo è apparso più volte in carne ed ossa ai suoi discepoli, dimostrando che in lui anima e corpo sono indivisibili e partecipano dell’unica Gloria e dell’incoercibile potenza della vita divina.

La morte è vinta perché Cristo ha sconfitto sulla Croce il peccato, che è il vero limite della libertà, e quella pietra rotolata dal sepolcro sta ad indicare l’inizio di una nuova strada di cui la primitiva comunità cristiana è coscienza e testimonianza. Perciò San Pietro annuncia a tutti gli abitanti di Gerusalemme che Gesù è risorto, e che questo cambia tutto immettendo ogni realtà in un’ontologia nuova in cui le cose non sono più condannate alla totale corruzione.

La resurrezione di Cristo introduce nel mondo una novità radicale che consente di vedere, oltre i confini dell’esperienza dei sensi, l’inizio della nuova creazione. Allora si comprende la bellezza e la profondità del gioioso saluto che ci si scambia il giorno di Pasqua “Kristòs anèsti”, Gesù è risorto (anzi, è veramente risorto come rispondono i cristiani d’Oriente), portando con sé tutta la creazione verso il proprio compimento. Certamente credere questo contrasta con la mentalità pragmatica e utilitaristica, convinta che siamo noi stessi a procurarci la salvezza con le nostre forze: per cui o crediamo di essere autosufficienti e di non aver bisogno di essere salvati, oppure disperiamo che esista qualcosa di più potente che possa realmente liberarci dal Male. Ma disperare della possibilità di un abbraccio che salvi e perdoni, risollevando dalla miseria e dalla distruzione, significa perdere se stessi.

La Pasqua di quest’anno, celebrata nel cuore del Giubileo della misericordia, chiede ad ognuno il coraggio di lasciarsi guardare da Dio e di avere l’apertura necessaria per riconoscere che non apparteniamo a noi stessi, ma ad un amore che ci permette di obbedire in pace al comando biblico non temere.

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