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Società

ACCOSTARE LA POVERTÀ

LUISA OPRANDI - 25/03/2016

In coda alla mensa di via Luini

In coda alla mensa di via Luini

Se Pasqua è rinascere, anche ogni riflessione sul valore del vivere il periodo pasquale tra i poveri e le persone maggiormente in difficoltà richiede una predisposizione del cuore aperta e costruttiva. Rinascere è ripartire, dare una svolta decisiva e significativa all’esistenza, intessere rinnovate positive relazioni, avere l’opportunità di guardare alla vita con occhi nuovi.

Chi è nella fatica difficilmente riesce a distinguere i giorni del quotidiano da quelli della festa. Ma chi opera con donne, uomini, anziani, giovani e bambini in situazione emergenziale non può sottrarsi dal pensare che i giorni della festa devono essere stimolo per compiere un passo in più rispetto a quello che già accade.

Da un lato associazioni e gruppi di intervento, che operano a sostegno di chi vive in situazione di povertà, si attivano perché i giorni di festività possano essere colorati da piccole gioie per tutti: semplici gesti acquistano pertanto valore affettivo, come la scelta di tante persone che offrono un uovo di cioccolato per i bimbi delle famiglie ospiti delle mensa serale di via Luini.

Ma occorre andare oltre e non lasciare mai cadere il messaggio che i dati concretamente riportano all’attenzione di tutti. Dati che raccontano di una povertà esistente in città e nella nostra provincia. Che parlano di famiglie cui servono aiuto e sostengo per andare avanti e non cadere dalla povertà alla disperazione. Numeri che non smettono di fare accendere le spie dell’attenzione sociale e che vanno diversificandosi, qualitativamente, nel tempo con una velocità superiore ad ogni possibile risposta. Aumenta infatti il numero degli anziani che, nella solitudine di una precarietà economica e affettiva, necessitano di recarsi presso i centri di accoglienza e le mense quotidiane ed allungare la mano che hanno tenuta serrata fino a che la necessità non è diventata più forte di ogni dignitosa ricerca di sopravvivenza.

Nelle scuole, tanti sono i bambini e i giovani che hanno consapevolezza di non potere accedere a quotidiane semplici possibilità che, invece, non sono negate ai loro coetanei: da qui la scelta di effettuare apposite raccolte in alcuni momenti dell’anno, come l’inizio della scuola per avere a disposizione quaderni, libri, matite o il periodo del Natale per potere donare giocattoli nuovi o in ottimo stato, oppure la festa della Pasqua per consegnare alle piccole mani di tanti bimbi una sorpresa nascosta dentro un uovo di cioccolato. Sempre più sono anche le situazioni di povertà determinate dai rivolgimenti familiari dovuti a separazioni e abbandoni o alla perdita del posto di lavoro di uno o entrambi i componenti del nucleo familiare. Tanti continuano ad essere inoltre i poveri che la vita porta in città da altri Paesi dai quali costretti a fuggire per le più diversificate ragioni.

Ciò a cui siamo in ogni caso chiamati è iniziare ad affrontare i segni della povertà come indici chiari di una diseguaglianza che occorre superare o quantomeno limitare perché qualcosa cambi. Se da un lato la povertà ha ragioni di natura economica e di allocazione delle risorse, dall’altro ogni disuguaglianza viene rafforzata nel momento in cui nel quotidiano non si riescono a distinguere i bisogni reali e le necessità dal desiderio del superfluo e quest’ultimo diventa a volte falsa urgenza.

Diseguaglianza che viene alimentata da distinzioni spesso inopportunamente marcate tra tipologie di poveri, quasi esistessero realmente distinzioni e avesse senso definire scale di priorità rispetto a poveri da sostenere perché autoctoni e altri da lasciare a se stessi perché figli di terre diverse dalla nostra.

Diseguaglianza che si radica nella scelta di tenersi lontani da tutte le occasioni che la vita collettiva e sociale offrono come opportunità di confronto e conoscenza: uniche strade in realtà, in ogni ambito dell’esistenza, per comprendere le relazioni e gli eventi. Anche la povertà e il desiderio di accostarvisi con dignità, non solo da parte di chi la vive sulla propria pelle.

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