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Cultura

I GESTI DEL CENACOLO

SERGIO REDAELLI - 25/03/2016

L'ultima cenaCristoforo de Predis (1440 circa-1486) era sordomuto dalla nascita e lo dichiarava orgogliosamente nelle sue opere con la sigla “MUT” vicina al proprio nome, forse per distinguersi dai fratelli che lavoravano a Milano nella fiorente bottega di famiglia. Era un abilissimo miniatore e la sua originale firma risalta sul frontespizio dello splendido antifonario o libro dei canti conservato al museo Baroffio del Sacro Monte di Varese. Il volume, destinato ad essere letto dai sacerdoti durante le funzioni liturgiche, fu donato al santuario da Fabrizio Marliani, vescovo di Piacenza in contatto con Leonardo da Vinci e assai devoto alle Romite del Monte, che lo aveva commissionato nel 1476 all’artista sordomuto.

I De Predis godevano di una solida stima nella Milano sforzesca della seconda metà del quattrocento quando Marliani, già ambasciatore a Roma presso papa Innocenzo VIII, aveva indossato la mitra e impugnato il pastorale. Abitavano a Porta Ticinese nella parrocchia di San Vincenzo in Prato e dagli atti notarili risulta che il capofamiglia, morendo, nel 1466 aveva lasciato sei figli maschi: Aloisio, Evangelista e Cristoforo nati dalla prima moglie Margherita Giussani morta prematuramente; Giovanni Francesco avuto da Margherita De Millio anch’essa mancata anzitempo; Bernardino e Giovanni Ambrogio, nati dalla terza moglie Caterina Corio.

Quando Leonardo da Vinci giunse a Milano alla corte del Moro nel 1482 fu ospitato nei primi tempi dalla famiglia De Predis. Giovanni Ambrogio ed Evangelista divennero suoi allievi e lavorarono alla Vergine delle rocce commissionata dalla Confraternita della Concezione per l’altare della chiesa di San Francesco grande; e di Cristoforo imparò ad apprezzare l’abilità manuale. Certamente osservò come egli comunicava e ne trasse le deduzioni che annotò nel suo “Trattato de la pittura”. Studiò, in seguito, la gestualità e la mimica dei sordomuti per rendere più espressivi i personaggi delle sue opere, come gli apostoli del Cenacolo e la Gioconda, forse una donna muta dallo sguardo indecifrabile.

Laura Marazzi, conservatrice del Museo Baroffio e memoria storica del patrimonio d’arte del Sacro Monte, inquadra così il collegamento importantissimo tra Leonardo, Fabrizio Marliani e Cristoforo de Predis all’ombra del santuario varesino: “Forse c’era stata la guarigione di uno dei fratelli De Predis per intercessione della Madonna del Monte e sicuramente la famiglia conosceva il santuario. Fabrizio Marliani era confessore del duca e commissionò l’antifonario quando salì alla cattedra vescovile nel 1476: era molto legato a questo luogo attraverso gli Sforza e lo dimostrò donando l’antifonario alla chiesa e manoscritti e libri a stampa al monastero, consacrò la torre degli ariani e la chiesa delle Madonne (da cui oggi le romite si affacciano per seguire la messa).

E il legame con Leonardo? Prosegue la Marazzi: “Il Cenacolo nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano è considerato il manifesto dei moti dell’anima. Immortala il momento successivo a quello in cui Cristo pronuncia la frase “uno di voi mi tradirà” e fissa le reazioni degli apostoli, i corpi e le mani dei convitati che si muovono in modi diversi esprimendo i sentimenti che li animano. Nel “Trattato de la pittura” Leonardo non cita Cristoforo De Predis ma sicuramente allude a lui quando dice: “…il buon pittore ha da dipingere due cose principali, cioè l’uomo ed il concetto della mente sua. Il primo è facile, il secondo difficile, perché si ha a figurare con gesti e movimenti delle membra; e questo è da essere imparato dai muti, che meglio li fanno che alcun’altra sorta d’uomini…”; “… i muti parlano con i movimenti delle mani, degli occhi, delle ciglia e di tutta la persona, nel voler esprimere il concetto dell’animo loro; e non ti ridere di me, perché io ti proponga un precettore senza lingua; […] perché meglio t’insegnerà egli co’ fatti, che tutti gli altri con parole; e non sprezzare tal consiglio, perché essi sono i maestri de’ movimenti ed intendono da lontano di quel che uno parla, quando egli accomoda i moti delle mani con le parole….”.

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