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Parole

“PROPRIO QUELLA LÌ”

MARGHERITA GIROMINI - 25/03/2016

bambinaGiovedì 17 marzo, festa nazionale dell’Unità, dell’inno e della bandiera, istituita nel 2012, dopo le celebrazioni del 150° della nostra nazione che nacque a Torino il 17 marzo 1861. Festa grande anche a Varese, città nella quale l’Unità nazionale non sta certo in cima ai pensieri dei governanti, ma che occupa uno spazio maggiore in quello dei governati, certamente di alcuni.

L’Unità Nazionale invece bene alberga nel cuore della Associazione Varese per l’Italia, 26 maggio 1859, unica a ricordare che la nostra cittadina, nell’Ottocento piccolo borgo di appena 10.000 abitanti, giocò un ruolo importante nella costruzione del Paese, negli anni del Risorgimento.

Nella splendida cornice del Salone Estense sono stati accolti 250 tra bambini e ragazzi delle scuole locali, e qualche delegazione dai dintorni, comuni cittadini, rappresentanti di associazioni e di gruppi si sono riversati per assistere alla cerimonia e per ascoltare il coro Iqbal dell’Istituto Don Rimoldi.

Inno nazionale, Bella Gigugin, la Bandiera dei Tre Colori e altre musiche risorgimentali hanno allietato la mattinata, che ha avuto come momento centrale la lezione di storia locale del professore Antonio Orecchia.

L’ultima parte della manifestazione è stata dedicata all’omaggio, da parte della citata associazione, di bandiere tricolori alle scuole partecipanti, vessilli che andranno a sostituire quei tristi e consunti scoloriti drappi pendenti dagli edifici scolastici. Per esplicita richiesta degli organizzatori il tricolore è stato consegnato a uno studente maschio e a una studentessa di ciascuna delle scuole presenti.

Ed ecco il fatto.

Le docenti di un istituto cittadino, particolarmente attivo nell’ambito dell’integrazione tra le diverse nazionalità che oggi compongono la geografia delle nostre scuole, scelgono per la consegna della bandiera al tavolo della presidenza un ragazzo, si suppone italiano o dall’aspetto tale (sempre che qualcuno possa distinguere le cittadinanze dai tratti di un viso) e una ragazzina, evidentemente musulmana, con il capo coperto dal chador.

Una anziana signora presente, forse varesina, certo italiana, di cui non conosciamo la qualifica, ma ci piacerebbe saperla per meglio inquadrare il fatto, forse ex insegnante, forse solo nonna amorevole, ma poco importa, si rivolge stizzita alle insegnanti della classe seduta dietro di lei, per chiedere loro “Dovevate proprio mandare quella lì a ritirare la bandiera italiana?”.

Le insegnanti restano ammutolite e non rispondono prontamente. Ma subito dopo mi riferiscono il fatto.

Allora rispondo io, alla gentile signora varesina, accorsa alla Festa dell’Unità Nazionale, sissignora, le professoresse dovevano mandare “proprio quella lì”. Adesso è tardi per suggerirle di prendere atto della gioia della ragazzina tunisina, marocchina, chi lo sa, scelta tra tanti per andare a ritirare la bandiera insieme con il suo compagno. La festa è finita ma per favore, lei prenda atto che ci sono dei nuovi italiani, cresciuti e istruiti nelle nostre scuole, accanto ai nostri figli e ai nostri nipoti. Accetti che per ragazzi educati al civismo e all’interculturalismo, i compagni si dividono in simpatici e meno simpatici, in amiche del cuore o meno, e tutti insieme, gli adolescenti, sono coetanei con le problematiche di ogni adolescente.

Sappia la sinora che i muri li erigono gli stati nazionali, che il conflitto tra le religioni è una sovrastruttura voluta e contemplata dai signori della guerra.

In Italia sono benvenuti I ragazzi che vogliono, per nascita nel nostro paese o per scelta successiva, essere italiani, che amano la nostra lingua come continuano ad amare, ci si augura, quella della propria famiglia.

A loro chiediamo di condividere le nostre istituzioni, e con esse i simboli della nostra cultura nazionale, dato che hanno accettato e desiderato di essere, come noi, italiani.

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