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Attualità

SALVIAMO LA NOSTRA PISTA

CESARE CHIERICATI - 08/04/2016

ganna

Il velodromo Ganna

C’è voluta una mostra al Sacro Monte dentro lo splendido scenario medioevale della “via del pellegrino”, un tesoro nascosto nella pancia dell’ex hotel Camponovo, per riproporre all’attenzione dei varesini il destino del Velodromo Luigi Ganna, la bella pista in cemento (446 metri di lunghezza) che abbraccia lo stadio Franco Ossola. Al momento l’uno e l’altra votate al declino. La pista è da quasi due anni addirittura inagibile per ragioni statiche (una curva in particolare avrebbe bisogno di cure) e per la scivolosità del cemento imbrattato, per protesta, con vernici inidonee dalla tifoseria del Varese quando la squadra sembrava destinata a sparire dall’orizzonte pedatorio nazionale.

“Storie di uomini e biciclette”, la mostra di cui sopra frutto dell’ entusiasmo di Carla Tocchetti e della competenza di Lorenzo Franzetti, al termine di un breve ma intelligente percorso (bici d’epoca, antiche bici reinventate a nuovo, foto di glorie del ciclismo agonistico, documenti vari) ha messo il visitatore davanti alla realtà locale di un velodromo, ricco di storia, di cui nessuno sembra volersi prendere cura. Lo ha fatto mettendo in bella mostra i disegni a china un po’ sbiaditi del progetto di ristrutturazione (primi anni sessanta ) firmato e realizzato dall’impresa Caravati. Anni in cui il Varese calcio brillava di luce propria e la Ignis di Comerio metteva su strada e su pista atleti di straordinario livello come lo sprinter spagnolo Miguel Poblet e il re della velocità Antonio Maspes, sette maglie iridate in bacheca. Tutta una storia in crescendo fino ai mitici Mondiali del 1971: strada a Mendrisio e pista appunto a Varese.

Ma la città giardino era già entrata nella storia del ciclismo su pista tre anni prima, durante i campionati italiani, allorché sul cemento del Velodromo Ganna si consumò, in diretta televisiva, il surplace più lungo di tutti i tempi. Era la semifinale della velocità fra Sergio Bianchetto e Mirko Pettenella, due atleti protagonisti a mondiali e olimpiadi. Per 63 minuti rimasero inchiodati al cemento, uno alla corda, l’altro alla balaustra. Finché Bianchetto, stremato, non si accasciò fragorosamente sulla pista. Nella circostanza venne battuto il record di surplace detenuto da Maspes, 60 minuti tondi, ma partì anche la riflessione che di lì a qualche anno avrebbe indotto l’UCI a limitare a 15 minuti la roulette del surplace. Per l’incolumità degli atleti e per non sconvolgere i palinsesti sempre più esigenti della televisione. Ai successivi mondiali nel quartetto azzurro, che vinse a Masnago il titolo dei dilettanti, brillò la stella di un varesino a tutto tondo, Luciano Borgognoni, la freccia del Velo Club Varese, l’altra sponda ciclistica della città rivale coraggiosa della mitica Binda. Fu una notte indimenticabile di fine agosto, le tribune colme di folla, la pista un anello di luce bianca sull’ombra scura del Sacro Monte. Bazzan, Algeri, Morabito e Borgognoni piegarono i ragazzi della DDR (l’allora Germania dell’Est) al termine di quattro tiratissimi chilometri. Insomma storia sportiva con la esse maiuscola in continuità con il tanto di buono scritto negli anni della guerra e subito dopo dai fratelli Morandi, Renato e Anselmo, due talenti purissimi. Il primo, scomparso di recente, consegnato alla storia del ciclismo su pista ( tricolore di velocità nel ’42 a soli diciotto anni) ma soprattutto a quella delle Repubblica per il suo impegno da protagonista nella lotta di liberazione dal nazifascismo.

Ce n’è dunque abbastanza per smetterla di guardare al “Luigi Ganna” come a un rudere ingombrante, a un orpello del passato da sacrificare senza rimpianti al “dio pallone”. Servirebbe una valutazione seria, finalmente, su cosa fare o non fare del Franco Ossola e del relativo velodromo tenendo presente che il varesotto da nord a sud è una terra ricchissima di società ciclistiche a tutti i livelli e che la presenza di una pista può avere per tanti ragazzi e ragazzini, una valenza educativa in senso generale e propedeutica, potremmo dire scolastica, ad altri cimenti ciclistici. Del resto, sia pure a scartamento ridotto e senza alcuna programmazione, ha funzionato così sino alla chiusura imposta dal Comune. La bella mostra sacromontina (500 le firme pro Velodromo raccolte) ha gettato un sasso nello stagno in una stagione di vigilia elettorale quanto mai propizia perlomeno all’inventario dei mille problemi che affliggono la città. Ne prendano quanto meno nota i candidati sindaco della città giardino.

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