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Urbi et Orbi

STORIE DI PAPÀ

PAOLO CREMONESI - 15/04/2016

papàUna volta al mese con alcuni papà romani dedico il pomeriggio del sabato a piccoli lavori di manutenzione del centro giovanile all’Esquilino, iniziato da un sacerdote, don Sergio Ghio, per i ragazzi delle medie e delle superiori. Una realtà educativa che alcuni miei figli hanno frequentato in anni ormai lontani. Si va dal pulire grondaie, liberare tombini, al costruire piccole recinzioni di legno o potare i grandi alberi del piazzale. Qualcuno più esperto si avventura in opere di idraulica e elettricità…

Ugualmente due volte all’anno aderisco alla “settimana dei papà” ideata dalle Missionarie di San Carlo, l’ordine dove mia figlia maggiore ha preso i voti, e che raduna per sei giorni da tutt’Italia genitori delle suore con il medesimo scopo: manutenzione e riparazione dei danni del grande edificio in cui vivono sull’Aurelia.

Qui l’orizzonte è più ampio e io non posso che invidiare la perizia di alcuni genitori della Brianza, del Varesotto o del Trentino in grado senza colpo ferire di restaurare gli infissi in legno delle camere, sostituire interi boiler con relativi impianti, costruire verande. Sono gesti che mi tengo ben stretti. E non solo, com’è naturale, per l’amicizia che si instaura tra persone di diverse provenienze geografiche ma con le stesse preoccupazioni. Di più per ricordarmi che la vocazione del padre non è avventura che si possa percorrere da solo.

Come spesso capita, vi sono frasi ascoltate (e che magari il soggetto in questione butta lì quasi per caso) che segnano l’intera esistenza. Come l’intervento di un caro amico, che da diversi mesi affronta la drammatica sfida di una malattia invalidante, Enrico Guffanti. Stimato medico, responsabile di Comunione e Liberazione, missionario. Guffanti, parlando durante una assemblea degli anni Settanta della sua giovane esperienza di padre si espresse più o meno così: “A volte qualcuno mi rimprovera del troppo tempo che dedico a CL invece che ai figli. Dovresti portarli di più a fare delle gite, mi ripetono. Ma io rispondo: se seguissi il tuo consiglio, potrei trovarmi un domani davanti al loro rimprovero: Perché ci hai portato a raccogliere fiori quando c’era la tutta la realtà del movimento da vivere?”.

È evidente che le due cose non sono necessariamente in contraddizione. Ma la frase, ascoltata con le orecchie di un allora sedicenne (vivevo ancora a Varese) stava a significare: “Guarda che per educare, devi essere a tua volta educato; per generare devi essere generato”. E questo dura per tutta la vita.

“Essere padri è innanzitutto essere servitori della vita e della crescita” ha scritto Benedetto XVI a proposito di San Giuseppe. E quale ambito meglio di una comunità per un genitore per imparare questo orizzonte più ampio?

Dante si appoggia a Virgilio ma lo supera. Frodo porta a termine l’opera di Gandalf ma compie opere più grandi del suo maestro.

Viviamo un tempo in cui i maschi battono in ritirata. Gli studi dello psicologo Claudio Risé, complice anche una travisata interpretazione del femminismo, hanno messo in luce i vari aspetti di questo fenomeno che indebolisce la società: senza padri la vita si popola di nemici.

E allora ben venga ogni gesto che richiama ad una coscienza più grande della vocazione di padre: fosse anche sturare un water o dare la caccia ai topi che infestano i giardini.

A proposito messaggio per il futuro sindaco: ma a Roma quanti sono?

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