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Presente storico

GLI ESISTENZIALISTI DI CUGLIATE FABIASCO

ENZO R. LAFORGIA - 06/05/2016

Cugliate Fabiasco a metà del secolo scorso

Cugliate Fabiasco a metà del secolo scorso

«Una vicenda rocambolesca». Questo fu l’occhiello dell’articolo del «Corriere della Sera», che, il 30 settembre del 1962, in prima pagina, informava del rapimento del vice-console di Spagna, avvenuto nel pieno centro di Milano due giorni prima. La mattina del 27, qualcuno aveva telefonato al consolato di Spagna, in Porta Genova, presentandosi come il segretario particolare del vice-sindaco di Milano: «L’onorevole Meda gradirebbe averla con lui, a colazione domani, venerdì – disse la voce al telefono. – Verrà una nostra automobile a prelevarla alle undici e trenta. Salirà l’autista per avvertirla.» La segretaria di Isu Elias – questo il nome del vice-console –, aveva poi cercato di mettersi in contatto con Luigi Meda, ma senza riuscirci. E così, alle dodici e un quarto di venerdì, un uomo sui trent’anni, alto e distinto, si era presentato presso la sede consolare, aveva atteso il vice-console ed insieme erano stati visti salire su una macchina. La sera, i familiari, non vedendo arrivare il diplomatico spagnolo, avevano iniziato a preoccuparsi. Poco prima di mezzanotte, la redazione del quotidiano di sinistra «Stasera», all’epoca diretto da Mario Melloni (noto anche come Fortebraccio), ricevette la telefonata, con la quale veniva annunciato il rapimento. La voce anonima dichiarò che l’azione criminale aveva una motivazione politica: gli autori del sequestro volevano in questo modo richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica verso la sorte che attendeva tre militanti antifranchisti, uno studente e due operai, condannati a morte dal tribunale militare. Fu, questo, il primo sequestro politico della storia dell’Italia moderna.

Quattro ore dopo la prima telefonata, i sequestratori chiamarono nuovamente il giornale milanese, fornendo nuovi dettagli sulla loro azione. Avevano agito in quattro, ma non avevano esercitato né intendevano esercitare alcuna violenza: «Noi non combattiamo con i metodi di Franco. Il rapimento del console non ha valore di “occhio per occhio, dente per dente”. Non vogliamo barattare la sua vita con quella di Conill [Jorge Conill Valls era uno studente di 23 anni, che, arrestato con Marcellino Jmenez Cubas e Antonio Mur Pevion, era stato condannato a morte], ma semplicemente fare tanto chiasso da costringere Franco a gettare la maschera: se vuole uccidere Conill deve farlo mentre tutto il mondo lo guarda».

Nei giorni successivi, l’attenzione restò alta per questo anomalo sequestro. Il primo ministro italiano Amintore Fanfani fece pervenire una nota al governo spagnolo con la quale manifestava «rincrescimento» e «condanna» per «l’atto criminale».

Inaspettatamente, la notte tra il 1° e il 2 ottobre i sequestratori rilasciarono il povero vice-console nei pressi di piazza Loreto, a Milano. Il 3 ottobre, la stampa nazionale annunciò che i sequestratori erano stati identificati ed uno di loro già arrestato. Si trattava di tre ventenni, due milanesi ed uno di Cerro Maggiore. Quest’ultimo aveva affittato una specie di cascina nei pressi di Cugliate Fabiasco, dove era stato trattenuto il vice-console. Uno dei tre, una ventina di giorni prima, aveva appreso la notizia della condanna dei tre antifranchisti spagnoli dalla radio. Aveva così deciso, insieme ai suoi compagni, di intraprendere un’azione eclatante, per richiamare l’attenzione della pubblica opinione. Un funzionario della Polizia di Stato che aveva seguito la faccenda aveva commentato: «dopo tutto non è stata una cosa molto seria». Il luogo in cui il vice-console era stato sequestrato solleticò le penne dei giornalisti e i sequestratori furono prontamente ribattezzati come «gli esistenzialisti di Cugliate Fabiasco».

Il processo a carico dei rapitori (dodici furono gli imputati, di cui sei, nel frattempo, erano stati arrestati mentre ancora uno risultava latitante) si consumò a Varese a partire dal 12 novembre: Eugenio Zumin, condusse il dibattimento, mentre la pubblica accusa fu rappresentata da Cesare De Giacomo. Fu un processo dai toni molto particolari. Il pubblico ministero sembrò da subito mostrare paterna benevolenza per i giovani incriminati; il sequestrato manifestò simpatia per i suoi sequestratori. Alla fine, il vero imputato sembrò il governo spagnolo. Per i giornali, i pericolosi anarchici si trasformarono in «ragazzi» della bohème milanese, frequentatori del Caffè Giamaica.

In questo clima disteso, furono accolte tutte le richieste di attenuazione delle pene invocate dagli avvocati difensori. Fu addirittura riconosciuto agli imputati di aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale. Sette mesi di reclusione fu la condanna più severa e tutti furono comunque rimessi in libertà.

Al vice-console restò il primato di essere stato il primo sequestrato per motivi politici in Italia.

I giovani anarchici avevano comunque raggiunto il loro obiettivo. Nel mese di ottobre, a Milano, gli studenti liceali scesero ripetutamente in piazza per manifestare contro il regime di Franco e l’arcivescovo della capitale lombarda, il cardinale Montini, inviò un telegramma al dittatore spagnolo sollecitando un gesto di clemenza.

I tre anarchici spagnoli, in realtà, non erano stati condannati a morte. Il Consiglio supremo della giustizia militare di Madrid li aveva condannati a scontare dai trenta ai quindici anni di carcere. Loro restarono in prigione.

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