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Cara Varese

IL QUINTO RE

PIERFAUSTO VEDANI - 03/02/2012

Una partita della Ignis nella storica palestra di via 25 Aprile (1960)

Di un’epoca è d’obbligo ricordare gli eventi e i grandi personaggi che sicuramente l’hanno caratterizzata. Si tratta di una normale regola se ci si occupa della storia con la esse maiuscola, ma solo gli approfondimenti e lo studio in seguito permettono conoscenza e valutazioni significative.

Il criterio in assoluto vale anche per la storia di una città, dove però le epoche hanno spazi temporali più brevi e soprattutto esigono attenzione e richiami alla cronaca per ottenere una valenza notevole ai fini della completezza degli elementi da affidare alle generazioni future.

Ecco allora il grande ruolo svolto nell’ambito della comunità da storici, critici, operatori culturali, scrittori, poeti, artisti, ma non solo.

Non è una riflessione, abbastanza scontata, che ho fatto in questi giorni: risale nel tempo, quando Luigi Bombaglio, con i suoi scritti, mi diede l’opportunità di ricuperare la conoscenza di una Varese minore che sfuggiva, dileguandosi nelle nebbie di giorni che passavano impietosamente veloci. Da allora negli angusti limiti della mia attività di cronista ho sempre cercato di dare ai lettori anche elementi in apparenza modesti e però utili alla comprensione di situazioni e avvenimenti del momento e al tempo stesso potessero diventare eventuale riferimento nella grande cronaca cittadina.

La morte di Davide Bardellini, notissimo tifoso della Pallacanestro Ignis, richiama oggi la grande passione sportiva e per il basket in particolare dei varesini, ripropone la continuità nei decenni di un “tifo” ormai leggendario, di un attaccamento alla squadra e alla società tramandato di generazione in generazione, più forte di qualsiasi tentazione o richiamo da parte di altri sport.

Oggi i tifosi pazzi d’amore per il basket sono ancora e sempre moltissimi: sono gli eredi del primo gruppo di “ultras“ formatosi circa settant’anni or sono a Casbeno e che aveva trasformato la palestra di via 25 Aprile in una roccaforte non facilmente espugnabile, dove il possente “Forza Varese” faceva pensare che a scandirlo fossero cinquemila tifosi e non un migliaio. E quando nel tempo alla simpatica banda si aggiunse Bardellini, nelle rare pause del tifo rovente al Palasport era possibile udire i baritonali commenti di Davide, in genere indirizzati agli arbitri.

Dopo una partita diretta infelicemente, Bardellini si presentò davanti allo spogliatoio dei direttori di gara, due toscani che non amavano Varese.Tra gli addetti al servizio d’ordine e il supertifoso, non avaro a volte di intemperanze verbali, ci fu una trattativa che si concluse positivamente: venne allora chiamato un arbitro, Bardellini lo salutò con molta cortesia e con tono colloquiale gli disse che non aveva condiviso le sue decisioni. Discussione civile, poi il tranquillo congedo di Bardellini: “Le cose sono andate così, pazienza, ma ho avuto la conferma che lei è il quinto re del mazzo di carte”.

Stupore del ” fischietto” e immediata la spiegazione da parte dell’impagabile Davide: “Rebambì!”.

Si è scritto parecchio del fenomeno pallacanestro a Varese, dell’importanza sociale di questo sport e di quale immagine esso abbia dato alla nostra città in campo internazionale, ma troppo poco si è approfondito il ruolo del pubblico, dei tifosi che nella grande rappresentazione messa in scena dalla squadra non hanno mai svolto il ruolo di comparse, anzi sono stati spesso protagonisti offrendo esempio di fedeltà, passione e unione non comuni. C’erano quattromila tifosi a Masnago a festeggiare il messicano Manuel Raga diventato cittadino onorario di Varese; quarant’anni dopo l’inizio dei trionfi della magica Ignis abbiamo visto i giovani fans di quei tempi presentarsi all’appuntamento tenendo per mano i nipoti. Un piccolo avvenimento che aiuta a capire che cosa possa essere “grande storia” per una comunità.

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