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Cultura

EDUCAZIONE ALLA LIBERTÀ

EDOARDO ZIN - 20/05/2016

lazzatiIl 18 maggio di trent’anni fa, all’alba della domenica di Pentecoste, Giuseppe Lazzati rendeva la sua bella anima al Padre. Aveva 76 anni. Ci sembra doveroso ricordare questa non comune figura di cristiano impegnato nell’insegnamento universitario, educatore di centinaia di giovani, deputato costituente, rettore della Cattolica di Milano, ma soprattutto laico di una forte tempra spirituale, di una finezza intellettuale, di una generosità nello spendersi senza riserve unita a un pudore che sfuggiva protagonismi ed esteriorità.

Fu un “ambrosiano” a tutto tondo. Nella nostra rievocazione ci collegheremo soprattutto ai rapporti tra “il professore” e le vicende della nostra terra.

Il cardinale Schuster gli affidò, nel 1934, la presidenza diocesana della Gioventù Italiana di Azione Cattolica. Erano altri tempi: la testimonianza si chiamava “apostolato”, l’impegno “conquista”, la presenza “crociata”, la missione “propaganda”. La spiritualità del laico imitava quella dei consacrati: il messalino (nella bella traduzione del benedettino Caronti!) rimpiazzava la Bibbia, abbondavano le più pratiche (la visita quotidiana al Santissimo, la recita del rosario, le devozioni a San Tarcisio, San Pancrazio, San. Sebastiano, San Giovanni…). Soprattutto l’Azione Cattolica era una “longa manus” della Gerarchia: “collaborare con l’apostolato gerarchico della Chiesa”. La morale era tutta centrata sulla purezza: non si parlava di giustizia, di pace, di temi del lavoro.

 Eppure in questo frammento di cristianità, Lazzati girava per le plaghe, le parrocchie, le associazioni di tutta la diocesi, dalla Bassa alle Prealpi, alle “tre giorni”, per trasmettere la fede, la gioia nel fare accedere agli altri la Verità: parlava di vocazione del laicato che invitava ad assumere coscienza delle proprie responsabilità, di teologia della professione, dei temi della campagna annuale. Formava coscienze, più che con la sua parola, con il suo esempio di vita.

L’armistizio dell’8 settembre colse Lazzati a Merano, dove prestava servizio presso il 5° reggimento alpini. Fu fatto prigioniero dai tedeschi e inviato in diversi campi di concentramento. Ancora oggi, un suo compagno di prigionia, ultracentenario, Lino Fornale, lo ricorda cosi': “Fu a Deblin, vicino a Varsavia, che ebbi modo di conoscere Giuseppe Lazzati, molto legato a un gruppo di ufficiali degli alpini lombardi. Ci parlava nella baracca adibita a cappella e anche nel cortile. Era un vero piacere ascoltarlo, perché, oltre ad avere il dono della parola facile, imperniava i suoi discorsi su problemi e temi di carattere spirituale in modo da farci sentire la presenza di Dio che ci era accanto nelle sofferenze del lager. Ascoltandolo, provavo conforto e nutrivo nel cuore la speranza che il nostro calvario un giorno non lontano sarebbe terminato. Quando mi sono sposato, nel 1948, è venuto a Thiene per fare da testimone al mio matrimonio. Tu sai che fino a pochi anni fa salivo all’eremo di San Salvatore. Oggi non posso farlo. Quando tu salirai lassù, digli che fra poco ci ritroveremo…”.

Dopo la liberazione, Lazzati rientrò a Milano. Sollecitato dagli amici e “suo malgrado”, entrò in politica; fu eletto consigliere comunale di Milano e deputato alla Costituente.

Durante la sua permanenza romana per partecipare ai lavori dell’assemblea costituente, Lazzati abitò in via dei Portoghesi, in una semplice pensione presa in affitto. Condividevano con lui la stessa abitazione Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani e altri: nacque così la “comunità del porcellino”, come la chiamò Vittorino Veronese, presidente generale dell’Azione Cattolica, che una sera portò per essere condivisa a cena una porchetta arrostita!

Ben presto la “comunità del porcellino” divenne un cenacolo di incontri: si discuteva di formazione prepolitica delle coscienze, di solidarietà sociale, di attenzione al bene comune. In quelle occasioni nacque l’idea di fondare la rivista “Cronache sociali”, espressione del gruppo dei “professorini”. Lazzati pubblicò su quelle pagine il famoso articolo “Azione Cattolica e Azione Politica”, in cui distingueva, ma non separava, l’impegno religioso da quello politico: in politica, il laico deve agire “da cattolico”, non “in quanto cattolico”. Ben presto l’articolo divenne il manifesto dei cattolici democratici impegnati in politica, ma anche oggetto di aspre critiche da parte della gerarchia.

All’Assemblea Costituente Lazzati svolse un ruolo centrale, da protagonista: indicò la centralità della persona, condannò il degrado della vita pubblica, i disegni asfittici della democrazia, il rischio mortale della delega. Avvertiva fortissimo il valore dell’educazione popolare alla politica e il ruolo degli intellettuali cattolici nel distinguere le cose di Dio da quelle dell’uomo e vedeva nella sana laicità una grande conquista del mondo.

Fu eletto deputato nella prima legislatura (1948-1953), ma rinunciò a candidarsi alla seconda e si ritirò alla vita privata e all’insegnamento di letteratura cristiana antica alla Cattolica.

L’arcivescovo Montini nel 1961 gli affidò la direzione del quotidiano “Italia”, che lasciò dopo due anni quando l’arcivescovo Colombo lo nominò presidente diocesano dell’Azione Cattolica. Durante la sua presidenza, dovette confrontarsi con le posizioni integraliste di Gs dapprima e di Cl poi. In un’intervista-dialogo registrata del 1984 con lo storico Scoppola, il costituzionalista Elia e con don Dossetti, e resa pubblica nel 2003, Lazzati si lamenta di essere stato lasciato solo nel mettere in guardia le deviazioni educative di Comunione e liberazione “aggregato di elementi emotivi che riempiono un vuoto psicologico… la loro spregiudicatezza per quanto riguarda l’uso dei mezzi finanziari fa parte del peggior pragmatismo cattolico, vorrei dire del peggior clericalismo: tutto è santo se serve a un fine santo!”

L’ateneo cattolico milanese fin dal 1965 viveva un periodo difficile perché vi si era determinato un clima di accesa contestazione, anticipatrice di quella più famosa del ’68: Giuseppe Lazzati fu nominato rettore (1968-1983)e, pur tra mille difficoltà che gli derivavano anche da ambienti cattolici, riportò l’università alla normalità e ne promosse il rinnovamento.

Al “professore” non furono risparmiate sofferenze: all’epoca del referendum per l’abrogazione del divorzio, i soliti zelanti lo accusarono di aver organizzato in Cattolica un convegno a favore del “comitato del no”. Il rettore prese carta e penna e scrisse una lunga lettera al sostituto della segreteria di stato Benelli, ove non contestava la “formale democraticità” del referendum, ma difendeva con fermezza il diritto e la missione dell’ateneo a fare ricerca scientifica e dibattere temi d’attualità, cercando di coniugare “principi irrinunciabili” ed “esigenze nuove”. E tirò dritto.

Anche dopo la sua morte, “Il Sabato”, giornale di CL, accusò Lazzati di “protestantesimo”. Alcuni estimatori di Lazzati ricorsero al tribunale ecclesiastico di Milano. Il processo non si fece, ma CL dovette accettare di pubblicare una nota di rettifica.

Lazzati visse gli ultimi suoi anni tra il lavoro “ritmato con serena e pacata adesione all’ordine delle priorità” e alla preghiera, cui attendeva “con signorile riservatezza e amorosa fedeltà” (Dossetti), “testimone e maestro di una laicità cristiana matura, intento a sviluppare una caratteristica via laicale alla santità” (cardinale Martini).

“Il cristiano è nel tempo rivelazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” dice una scritta posta accanto alla tomba del “professore” all’eremo di San Salvatore. Quando mi recò lassù il pensiero corre a una dedica autografa che Lazzati scrisse sul frontespizio di un libro che andava in voga tra i giovani cattolici alla fine degli anni ’50 e che conservo gelosamente: “Studia, ma soprattutto lavora a fare di te un cristiano in cui traspiri lo spirito del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo – Treviso, 17 luglio 1957 – Giuseppe Lazzati”.

Rabbrividisco al pensiero della consegna fattami da Lazzati troppo spesso oscurata dalla fretta, dalla superficialità, dall’ira, dall’interesse immediato. Non sono stato fedele testimone del Vangelo: ma anche ciò fa parte del coraggio irrinunciabile della libertà, a cui Lazzati ci ha educati.

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