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Economia

VINI DI VARESE A RISCHIO

SERGIO REDAELLI - 09/06/2016

 

La Città del Vaticano è il Paese con il più alto consumo di vino pro capite al mondo con 54,26 litri l’anno, davanti ad Andorra, Croazia e Slovenia. La Francia è in quinta posizione con 42,51 libri pro capite, l’Italia decima (33,30), dodicesimo l’Uruguay (29,19), quindicesima la Germania (24,84). Gli Stati Uniti, tanto per avere un termine di paragone, seguono a molti bicchieri di distanza con 10,25 litri pro capite. È  la curiosa statistica elaborata da California Wine Institute nel 2015 e non deve stupire più di tanto: non sono cardinali e guardie pontificie ad alzare il gomito o l’uso cerimoniale del vino nelle tante chiese, ma la speciale tassazione in vigore nel più piccolo Stato del pianeta  (44 ettari, 800 abitanti) che rende conveniente l’acquisto per  ragioni fiscali.

I vini e i liquori venduti nel supermercato vaticano, il cosiddetto Spaccio dell’Annona, usufruiscono di una tassazione più bassa di quella italiana e invogliano i consumatori a riempire i carrelli di bottiglie che, presumibilmente, non verranno tutte bevute nel piccolo Stato. Gli acquirenti, infatti, non sono soltanto i cittadini del Vaticano, ma tutti coloro i quali hanno diritto di accedere al market con una tessera personale (con tanto di fotografia).

Se a Roma si traffica, a Varese s’ignorano le tradizioni: “Meno del 5% della popolazione sa che il Varesotto produce vino”, dice l’agronomo Andrea Tovaglieri parlando alla 2° Rassegna dei Vini Varesini tenutasi il 5 giugno a Villa Porro Pirelli di Induno Olona. È  una piccola produzione inferiore ai centomila litri l’anno, 50 mila bottiglie circa, ricavati da una minuscola superficie di 19 ettari, pari allo 0,088 della viticoltura lombarda, compresi i produttori amatoriali e i terreni sotto i mille metri coltivati per autoconsumo. Sviluppa un fatturato di circa trecentomila euro e festeggia quest’anno i dieci anni della Igt Ronchi Varesini. La produzione agricola e la tutela del territorio sono affidate dal 2008 all’associazione Vini Varesini, presieduta da Giuliana Tovaglieri, titolare della tenuta agrituristica di Golasecca.

Alla rassegna partecipavano Cascina Piano di Angera, Cascina Ronchetto di Morazzone, Tenuta Tovaglieri di Golasecca e Cascina Filip di Travedona Monate. Ospite l’associazione Terre Lariane. Altri produttori associati sono Valle Luna di Varese, Laghi d’Insubria di Albizzate e la gloriosa Rossi di Angera. Merlot, Nebbiolo e Chardonnay le uve più trattate, ma all’orizzonte si profilano giovani volonterosi come Valentino Bresciani e Selene Arioli che vogliono produrre spumanti a Viggiù coltivando uve Chardonnay e Pinot Bianco. Tra gli hobbisti c’è chi pianta Gamaret sui crinali del Sacro Monte ispirandosi alla stampa di Federico Agnelli che testimonia come nel Seicento le vigne s’inerpicassero fino alla settima cappella.

La Rassegna, una piccola Vinitaly indunese, è stata organizzata per il secondo anno consecutivo dall’assessorato alla cultura del comune valceresino con il patrocinio della Pro Loco e di Slow Food Varese. Pubblico assiepato negli stand allestiti nel salone al pianterreno di Villa Bianchi Pirelli, una settantina i biglietti staccati per le degustazioni che, a dieci euro, davano diritto di provare un vino per ciascuna cantina e di gustare un piatto di salumi e formaggi tipici (forniti dalla società agricola Valle Luna). Una platea attenta ha seguito il convegno con l’agronomo Andrea Tovaglieri, l’enologa Micaela Stipa, Claudio Moroni e i delegati Alberto Senaldi e Fabio Ponti di Slow Food Varese.

Quali sono le prospettive dei vini locali? E quali possibilità di sviluppo offre la Igt, ottenuta nel 2005 con tante speranze? “I pericoli esistono, l’indicazione geografica tipica è una tappa non un traguardo e non è detto che fra dieci anni ci ritroveremo ancora qui per festeggiarla – ha messo in guardia Tovaglieri – la piovosità del Varesotto è un fattore di rischio, favorisce le malattie e i parassiti della vite, contro i quali va fatto un sapiente uso dei prodotti fitosanitari, rispettando le regole e l’ambiente e limitando i costi. Dal primo gennaio 2016, è stato liberalizzato in Italia il diritto d’impianto dei vigneti e questa è un’opportunità, anche se il boom di richieste (12 mila, per un totale di 67 mila ettari) eccede la disponibilità (6400).

Altri aspetti critici, hanno spiegato i relatori, sono la scarsa conoscenza della produzione, che determina curiosità ma non emoziona e non rappresenta ancora il territorio, come avviene per esempio per i “vini eroici” delle balze della Valtellina. È  negativo che a dieci anni dall’Igt soltanto sette aziende siano attive a livello professionale. Varese produce poco, di buona qualità ma con alti costi e, di conseguenza, con prezzi al consumo che in certi casi sono fuori mercato. Al momento, l’attività di vitivinicoltore non ha convenienza economica, è un mestiere che richiede soprattutto passione. In cambio il vino rappresenta un’opportunità di lavoro per i giovani e un sistema per avere cura del territorio. (Foto Rolando Saccucci, Slow Food Varese).

 

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