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Economia

BREXIT E NOI

GIANFRANCO FABI - 16/06/2016

brexitSono giorni sempre più intensi quelli che sta vivendo l’Europa in vista del referendum del 23 giugno in cui gli inglesi saranno chiamati a decidere se restare o meno all’interno dell’Unione. Un voto nato male, più per rincorrere il consenso interno che per decidere su di una reale alternativa politica, e gestito peggio con una rincorsa da una parte e dall’altra per chiedere e ottenere privilegi e percorsi di favore.

Il Governo di Londra ha avuto dai partner europei numerose concessioni che equivalgono ad avere uno status particolare quasi con la facoltà di decidere quali regolarmente accettare e quali no. Non bisogna dimenticare peraltro che la Gran Bretagna è sempre stata una presenza ingombrante e contrastata nel processo europeo: sempre in bilico tra le nostalgie imperiali, quando tanti secoli fa la flotta inglese era padrona incontrastata dei mari, e le tentazioni di partnership preferenziale con gli Stati Uniti, non solo per la lingua comune, ma anche per una visione molto simile del diritto e della stessa democrazia.

Ma ora che la frittata sta per essere cucinata, dato che sembrano in crescita i consensi di quanti vogliono rompere i ponti con Bruxelles, è forse più opportuno guardare avanti piuttosto che recriminare su quanto poteva essere fatto.

E allora ci si può augurare che l’eventuale voto negativo inglese possa rafforzare più che creare ulteriori elementi di crisi all’interno dell’Unione. È vero che da una parte la separazione darebbe ancora una spinta ai movimenti populisti antieuropei, presenti ormai in quasi tutti i paesi, ma dall’altra sarebbe chiaro che se l’Europa vuol sopravvivere a se stessa i paesi dell’Unione dovranno fare una scelta chiara sul loro futuro.

Le strade sono essenzialmente due: o la continuazione di quel coraggioso processo che avevano concepito i padri fondatori, con la progressiva realizzazione di una sempre maggiore unità politica, oppure la scelta di portare avanti una ipotesi consociata, capace di riconoscere e tutelare maggiormente la sovranità di ciascun paese. Nella prima ipotesi si avrebbe un’Europa in stile svizzero con un governo centrale che controlla i grandi temi della moneta, della difesa, dei rapporti con l’estero, ma con i Cantoni che hanno propria dignità e rappresentanza politica. Nella seconda ipotesi si tornerebbe indietro di cinquant’anni con un’Europa ridotta a un semplice mercato comune senza una qualunque forme di solidarietà e di percorso condiviso.

Il rischio maggiore è che non venga effettuata alcuna scelta e che l’Europa continui ad offrire molti motivi per una protesta comunque superficiale e opportunista. Con un semplice slogan, tuttavia di complicatissima attuazione, si tratterebbe di far prevalere l’Europa dei popoli a quella delle burocrazie, l’Europa dei giovani su quella dei politici. In pratica l’Europa dovrebbe approfondire il proprio essere democrazia trovando nello stesso tempo un leader capace di ridarle rispetto e dignità.

Il voto inglese quindi è forse più importante per il futuro dell’Europa che non per quello della stessa Gran Bretagna. Per gli inglesi votare per uscire dall’Unione vorrà comunque dire trovare un capro espiatorio a cui addebitare i problemi peraltro comuni agli altri paesi europei: la disoccupazione giovanile, la crescita delle disuguaglianze, la difficile gestione dell’immigrazione. È tutto da dimostrare che uno splendido isolamento possa aiutare nella loro soluzione.

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