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Pensare il Futuro

L’APPELLO DEI MUNDURUKU

MARIO AGOSTINELLI - 24/06/2016

Un villaggio munduruku

Un villaggio munduruku

Sul fiume Tapajos, un affluente del Rio delle Amazzoni lungo 800 chilometri, il governo brasiliano progetta di costruire 40 dighe, che porterebbero all’allagamento di un’estesa area della Foresta amazzonica, all’inondazione di villaggi e territori sacri per gli indigeni Munduruku e all’evacuazione delle popolazioni locali. Un analogo progetto è da tempo contestato sul fiume Xingù, finora con successo.

Il fiume garantisce la vita di 14.500 indigeni, di una numerosa popolazione locale e di una quantità inestimabile di specie animali e vegetali. La diga di São Luiz do Tapajós, la più grande fra quelle progettate sull’omonimo fiume, sarà alta 53 metri, lunga 7,6 chilometri e avrà una capacità installata di ottomila megawatt.

Una centrale idroelettrica potrebbe sembrare una soluzione energetica pulita, ma non è così! Per realizzare la diga, migliaia di chilometri di foresta vergine sarebbero devastati e allagati. Questi megaprogetti, che implicano l’allagamento di estese aree forestali e il conseguente degrado di ingenti quantità di sostanza organica, provocano il rilascio di metano, un gas serra molto più potente della CO2. Inoltre, proprio a causa dei cambiamenti climatici, è previsto che la portata dei fiumi della regione amazzonica subirà drastiche riduzioni, mettendo a rischio il raggiungimento della capacità produttiva sperata. L’alternativa migliore al megaprogetto idroelettrico sul fiume Tapajós sarebbe una combinazione di eolico, solare e biomasse, fattibile solo se il governo cambierà gli indirizzi della sua politica energetica.

I Munduruku sono un gruppo indigeno di almeno 12.000 persone che da generazioni vive nell’area intorno al fiume. Dipendono dal fiume per procurarsi cibo, per spostarsi e per far sopravvivere la loro cultura ancestrale. Ora i Munduruku hanno lanciato un appello a tutto il mondo per ricevere sostegno nella loro protesta: vogliono ottenere dal Governo Brasiliano il riconoscimento ufficiale delle loro terre ancestrali e proteggerle per sempre dallo sfruttamento indiscriminato.

In una fase di cambio del paradigma energetico, si assiste in tutto il mondo ad uno sforzo strenuo delle grandi corporation delle costruzioni e dell’energia per tener vivo un sistema elettrico centralizzato, fatto di enormi impianti e di sconvolgimento dei territori, in particolare dove viene prevista minore resistenza, come in Africa, India e Brasile. Alle aziende come Siemens, tra le più interessate alla costruzione della diga, interessa solo il profitto anche a scapito dell’ambiente e le persone: un mega-progetto di questa portata avrebbe un impatto sociale ed ambientale devastante, ma un grande ritorno economico, se gli investitori non sono tenuti a risarcire le popolazioni, la natura e le generazioni future.

Greenpeace ha lanciato un appello che si può firmare online sul suo sito

 

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