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Cultura

CLONIAMO IL TEATRO SOCIALE

SERGIO REDAELLI - 01/07/2016

Costruire in piazza della Repubblica una copia perfetta del settecentesco Teatro Sociale? Sarebbe bello, quasi a voler risarcire la città della speculazione edilizia che nel 1953 cancellò in un sol colpo due secoli di cultura varesina. Ma non è il caso di fare voli pindarici: ricostruire l’intero teatro, muri esterni compresi, non è possibile. Come ebbe a dire una volta l’ex sindaco Fontana “siamo uomini del nostro tempo e dobbiamo lasciare ai posteri un’immagine moderna”. La sala interna del teatro però – quella si – si potrebbe “clonare”. Rifarla tale e quale.

“Esistono foto e piantine a partire dalle ultime modifiche apportate dall’ingegnere Achille Sfondrini nel 1896 – spiega Bruno Belli, curatore con Serena Contini e Chiara Violini della mostra “Vita varesina intorno al Teatro Sociale tra libri, librettisti, giornali ed affissioni pubbliche”, in corso a Villa Mirabello fino all’11 settembre – Tenendo conto delle attuali leggi sulla sicurezza e sulle disabilità e quindi della necessità di ridurla a ottocento posti, sarebbe possibile riprodurla. Basta trovare un’equipe di architetti che faccia i calcoli e operi le modifiche sulle planimetrie e i disegni originali”.

Il teatro fu demolito perché – alla Varese “palazzinara” – faceva gola l’area su cui sorgeva in piazza Giovine Italia, in sfregio al suo glorioso passato. Al Sociale, inaugurato nel 1791, si erano tenute le anteprime del teatro alla Scala di Milano, si era esibito il tenore Francesco Tamagno in due memorabili concerti nel 1889 e nel 1895, avevano calcato il palco le più celebri compagnie di canto e di prosa, erano state programmate letture pubbliche e perfino riunioni di boxe. A metà Ottocento gli austriaci lo avevano adibito a caserma, ma la città farà di peggio costruendo al suo posto un brutto condominio.

Un delitto urbanistico, uno scempio che a metà degli anni Cinquanta aprì un problema non ancora risolto oggi, visto che si parla di un nuovo teatro da costruire in piazza della Repubblica. Ci si può fare un’idea della perdita consultando i documenti esposti nella mostra di Villa Mirabello, tratti in parte dall’archivio storico comunale, con carte, mappe e una preziosa foto della sala interna, riproduzione di un’immagine scattata dal fotografo Fidanza. Altro materiale proviene dalla collezione dei periodici nella biblioteca civica, dal liceo musicale e dalle raccolte private.

La mostra è aperta da martedì a domenica (9.30-12.30 – 14-18, domenica ingresso gratuito) ed espone manoscritti, locandine, fotografie, progetti, disegni, ritratti ad olio, ritagli di giornali, libri e memorabilia varie. Fu Pompeo Cambiasi, suocero della scrittrice Liala e amministratore della Scala di Milano, a compilare la cronologia degli spettacoli d’opera e dei balli che si erano tenuti al Sociale (Teatro di Varese 1776-1891). Cambiasi era azionista della società che gestiva il teatro, proprietario di un palco e impresario.

Interessante è il repertorio di sala con la copia di un libretto “vistato” dalla censura. Ricorrono grandi nomi del canto e della musica (Duprez, Abbadia, Ivanoff, Pasta, Varesi) e riemergono scorci di vita mondana: il contralto Giuseppina Grassini piaceva a Napoleone che la ingaggiò come prima cantatrice della Cappella Imperiale; il tenore Francesco Tamagno abitava nella villa che la figlia Margherita poi donò all’Ospedale di Circolo; un arazzo proveniente dal “ridotto” del Sociale raffigura Giuseppe Verdi con lo spartito del Va’ pensiero. Verdi soggiornò a Varese nel mese di agosto del 1842 ospite della contessa Morosini a Villa Recalcati.

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